Transtazione
Le stazioni non sono solo luoghi di funzionamento o di passaggio, ma luoghi simbolici. Romanzi o film o chiunque si occupi di narrativa sa bene che la stazione è un luogo privilegiato, in particolare per quanto riguarda gli addii, gli scambi o i passaggi esistenziali. Tuttavia, qui non ci interessa occuparci di questo, quanto di un fenomeno sociale che riguarda, in particolare, la realtà giovanile. Attraversare le stazioni non significa semplicemente passare da una città all’altra, ma entrare in un mondo a sé, quasi in una cultura del tutto particolare. Persone che viaggiano in treno, possono accorgersi di questo non quando prendono il treno, ma quando attendono orari di partenza o di arrivo. Marc Augè aveva inserito anche le stazioni nei non–luoghi, come spazi di passaggio, tuttavia le stazioni ferroviarie hanno, al loro interno, un mondo informale, fatto di persone che vi risiedono, come anche di culture in transito. Ovviamente, quando parliamo di persone che risiedono in stazione, ci riferiamo in prima istanza ai barboni o agli scartati della società, che vivono ai margini e nell’invisibilità. Ma oltre queste persone, ci sono anche gruppi giovanili con una propria cultura, con un proprio modo di vestire, con un proprio modo di parlare, con un proprio modo di agire all’interno del loro gruppo e della comunità. Ragazzi e ragazze con skateboard o piercing, pantaloni larghi e capelli colorati. Ragazzi e ragazze che possono essere facilmente giudicabili come perditempo o pagliacci o semplicemente strani. Eppure si tratta di un mondo e di una cultura underground che fa tutt’uno con la simbolica della stazione. Potremmo parlare, allora, di una cultura transtazionale. Non una cultura liquida o indifferenza, ma dentro un mondo che transita, che si muove, connesso con la realtà e al tempo stesso, disconnesso dalla storia e dai paradigmi precedenti. Si tratta di una cultura che è come i treni visti dalle stazioni: culture di passaggio che sappiamo da dove vengono e dove vanno, ma che rimangono in quel punto lì, in quel momento esistenziale, in quella cultura. Non si tratta di una cultura che entra in schemi già dati, ma di una cultura quotidiana, underground in quanto abitante di luoghi non riconoscibili immediatamente come apportatori di valori tradizionali o istituzionali. Non è, dunque, una nuova cultura, ma l’idea che l’esistenza stessa sia di passaggio, sia non nella definitività o nella definizione, ma nel mutamento, nella trasformazione e nel cambiamento. Così le stazioni ferroviarie divengono simbolo di transtazionalità, un rimanere nel cambiamento dove ogni saluto diviene un addio e ogni abbraccio un perdersi. In un viaggio che non finisce mai.