Smart city: l’intelligenza dell’abitare
Abitare la città significa ritornare al concetto di intelligenza, parola che sembra fare sempre più rima con il concetto di smart. La città intelligente è la smart city, assimilata spesso all’utilizzo della tecnologia. Parlare di smart city, dunque, significa pensare ad una città sempre più tecnologicamente avanzata. Tuttavia, la relazione fra intelligenza e città non è un legame nuovo ma l’essere umano ha abitato le città utilizzando sempre una intelligenza storicamente fondata. Intelligenza, etimologicamente, significa leggere dentro, e l’essere umano ha costruito città non solo per convivere con altre persone, ma per leggere dentro se stesso, i suoi sogni, i suoi desideri e le sue visioni del mondo. L’età classica aveva una sua intelligenza che prevedeva una certa visione del mondo, mentre il Medioevo aveva un’altra visione del mondo e ha costruito città utilizzando la sua visione. Poi il Rinascimento e l’Illuminismo, la nascita dell’Urbanistica nell’Ottocento e il Novecento con le sue pianificazioni post belliche, ogni epoca ha avuto la sua intelligenza nel costruire e nell’abitare le città. Anzi, guardando le forme delle città e le rappresentazioni visuali delle città, risulta ancora più facile riconoscere quale fosse il tipo di intelligenza, il modo di abitare, di comprendere e riconoscersi come cittadini all’interno del tessuto urbano. Oggi, dunque, ci troviamo dinanzi ad una nuova interpretazione del concetto di intelligenza che riguarda, fondamentalmente, due sfaccettature: la pluralità e la tecnologia. Seguendo l’intuizione di Howard Gardner sulle intelligenze multiple potremmo chiederci con quale intelligenza le nostre città sono costruite e, in particolare, se c’è posto per tutte le forme di intelligenza all’interno delle nostre città. Ci siamo accorti, infatti, che l’intelligenza non si concilia solo con la razionalità e l’ordine, ma anche con la capacità introspettiva, fisico-motoria, interpersonale, musicale e spaziale. Le sette intelligenze di Gardner ci offrono uno spunto per riconsiderare le nostre città non solo alla luce di una singola intelligenza, ma in una dinamica plurale, di dialogo e di ermeneutica fra le varie intelligenze di cui siamo capaci e che spiccano dentro ciascuno di noi. A questa pluralità di intelligenze, possiamo aggiungere le differenti intelligenze che provengono dal genere, dall’etnia, dalle popolazioni che caratterizzano il nostro vissuto urbano. La sfida, oggi, sembra essere non solo quella di incentivare l’uso della tecnologia all’interno delle città, ma quello di coniugare e declinare le varie intelligenze all’interno della città, senza farla esplodere o implodere. In questo senso, allora, può venirci in aiuto la tecnologia, come dialogo e supporto all’intelligenza. Il concetto usato e abusato di smart city non riguarda solo l’intromissione di tecnologie all’interno dello spazio urbano, ma il dialogo fra l’essere umano e gli oggetti tecnologici che produce e che, in qualche modo, modificano anche il nostro essere al mondo. La tecnologia è moralmente neutrale in quanto produce output a seconda di input. Ciò che più conta è come interpretiamo il nostro abitare le città attraverso l’uso della tecnologia, la quale da una parte rende più semplice la nostra esistenza, mentre dall’altra rende più complesse le interazioni a cui possiamo accedere. È questa ermeneutica fra intelligenza e tecnologia la sfida del vivere in città. Sfida che attraversa ogni campo della convivenza, dalle relazioni social alle fake news, dalla raccolta dei dati all’incontrarsi. Senza demonizzare o esaltare la tecnologia, le smart city offrono una importante ermeneutica del nostro modo di pensare e di abitare le città di oggi, e di domani.