Smart city e giustizia sociale
Come abbiamo già affermato, riflettendo sul tema delle smart city, intelligenza e tecnologia si offrono un reciproco aiuto e una reciproca interpretazione che ci aiuta non solo a costruire ma anche ad abitare la città. Il concetto di smart rimanda ad una intelligenza flessibile, sostenibile, efficiente, una intelligenza che si costruisce e ci costruisce attraverso i dati. La vera risorsa, nelle smart city, sono i dati che ciascuna persona produce e che vengono letti attraverso algoritmi che permettono di evidenziare gusti, bisogni, tendenze. La contemporaneità ci ha immesso in un nuovo processo di interpretazione della persona come produttrice di dati. Se il capitalismo aveva creato un essere umano consumatore di prodotti, il passo successivo è stato fare di quel consumo una nuova produzione, in particolare di dati. Scegliere un prodotto, scrivere un pensiero, trovare un’informazione su internet, scegliere il luogo dove andare in vacanza o semplicemente a cena con amici, genera una quantità enorme di dati che permettono a complessi algoritmi di elaborare le nostre tendenze, i nostri gusti, i nostri bisogni e, in questo modo, di rimandarci a informazioni che potrebbero essere utili. I cookies dei vari siti internet o programmi che scegliamo non sono altro che richieste di accesso ad informazioni che vengono rielaborati come dati e immessi in un circuito che riflette le nostre stesse scelte. Una specie di specchio tecnologico che trasforma i nostri atti non solo in fatti ma in dati da rielaborare. Se da una parte abbiamo paura di questa tecnologia che sembra sovrastare l’intelligenza, dall’altra ci occorre riconsiderare un dialogo fra l’intelligenza e la tecnologia, nella loro dialettica di creazione, produzione e interpretazione vicendevole attraverso i dati. In modo particolare per quanto riguarda l’abitare, intelligenza e tecnologia hanno bisogno di un orizzonte comune che passi attraverso la democratizzazione dei dati. Il lato problematico delle smart city, oggi, è nella elaborazione dei dati da parte di aziende private, di grandi colossi che possiedono la maggior parte delle banche di informazione degli utenti. A questo si aggiunge la grande diseguaglianza sociale frutto della privatizzazione della tecnologia e, di conseguenza, le guerre per l’approvvigionamento delle risorse, fra cui il litio, per la produzione di strumenti tecnologici. L’hi-tech, come la smart city, non è nulla senza una messa in comune dei dati, una maggiore democratizzazione delle decisioni all’interno delle città, una risoluzione dei problemi riguardanti la giustizia sociale e la disparità fra ricchi e poveri. Solo così potremo iniziare la parlare di smart city, di città intelligenti e democratiche.