Smart city e democrazia partecipativa
La smart city è una grande macchina. Anzi, pensiamo che sia una grande macchina, un grande macchinario, un grande orologio, grande quanto la città. L’idea di una smart city è quella di coniugare il vivere in città con la tecnologia, creare una città che non viva solo di strade, luoghi, centri e periferie, ma di continui interscambi, relazioni e connessioni non solo a livello fisico, ma anche a livello virtuale. Se ci pensiamo bene, infatti, la città non si caratterizza solo per la sua forma, ma soprattutto per le sue relazioni, per i processi che avvengono al suo interno, in particolare per quei processi sociali e culturali che divengono decisioni politiche. Queste, in seguito, danno forma ad una città, anche quando non vengono attuate o quando vengono attuate male. Ora, se pensassimo all’utilizzo delle tecnologie, degli algoritmi e delle piattaforme virtuali, per favorire queste decisioni politiche? Per far sì che divengano sempre più partecipate? Se iniziassimo a pensare che la tecnologia possa, in qualche maniera, contribuire alla gestione di una città e all’espressione della città stessa, ecco che stiamo parlando di smart cities, di città che possono attuare processi nuovi in base alla raccolta di informazioni e di dati che gli stessi cittadini pongono in essere. Ora, prima di inoltrarci ulteriormente, ci occorre affermare che la tecnologia in sé, non ha nessuna carica morale, come nessuna dimensione politica. Internet, i social network, la tecnologia come anche la tecnica, non hanno una connotazione morale in quanto buone o cattive in sé, ma è l’utilizzo di queste ad essere buono o cattivo, a generare sviluppo o degrado. Per quanto possa essere banale come affermazione, ci occorre precisarla dal momento che non si tratta di venerare o di demonizzare la tecnologia, quanto piuttosto di comprendere come possa cambiare la nostra esistenza e il nostro paradigma antropologico, il nostro essere uomini e donne. Ci sembra innegabile che la tecnologia, pur non essendo buona o cattiva in sé, ci cambi profondamente in quanto persone, in quanto esseri umani. Non solo in senso di struttura fisica, ma anche come percezione della realtà, dalla gestione del tempo alla organizzazione quotidiana. La tecnologia ci cambia e ci cambia anche nella misura in cui viviamo (dentro) la città. Ma come può cambiare il nostro essere abitanti all’interno di una città, attraverso la tecnologia? L’esperienza di alcune città, come quella di Barcellona, ci indicano processi partecipativi attraverso l’utilizzo della tecnologia. Esempi possono essere dalla condivisione dei propri tragitti nella città per modificare e migliorare il servizio di trasporto pubblico locale, oppure il monitoraggio della qualità dell’aria attraverso biciclette elettriche, o ancora varie richieste di miglioramento e di ripensamento degli spazi. La tecnologia non risolve, ma senza dubbio potrebbe migliorare il nostro stile di vita all’interno delle città, rendendole più partecipative, più democratiche anche e soprattutto nelle decisioni politiche. Non si tratta di accogliere la tecnologia come il nuovo miracolo economico, in grado di sviluppare e aprire la città, quanto di favorire alcuni processi, senza più delegare le questioni ai tecnici, ma rendendoli interpreti del bisogno comune dei cittadini. Non si tratta, dunque, solo di pensare ad una città smart, ma di favorire una politica locale maggiormente locale, maggiormente dislocata, plurale e territoriale. In questo senso, dunque, si generano comunità in grado di pensare liberamente, sganciando il libero pensiero da una sorta di astrattismo inconsistente per cui tutto quello che penso e faccio va bene. La città è il vero terreno in cui il libero pensiero è nato, in cui il libero pensiero si sostiene e in cui il libero pensiero ha un impatto sulla realtà. La tecnologia può favorirlo, se utilizzata per creare forme di democrazia partecipata, rendendo lo stesso pensiero un po’ più smart e meno incline all’autoreferenzialità per cui tutto è lecito e tutto vale. Una smart city non è una macchina, ma uno strumento per ripensare la città, i cittadini, la politica locale, l’esperienza urbana, le nostre relazioni umane e ambientali. In maniera un po’ più libera.
Eccitante prospettiva. Immaginabili le implicazioni del caso.