Sapienti giusti
Sap 2,12.17-20; Sal 53; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37
Un aneddoto che racconta sempre Rocco D’Ambrosio, anche in qualche intervista, quando lo interrogano sul tema della corruzione è il seguente. «Una volta un parroco mi mandò un signore che si voleva candidare a sindaco. Una bravissima persona, ministro straordinario, veniva dall’Ac. Gli feci due domande: la tua famiglia è d’accordo, sai che il mestiere di sindaco è massacrante? E poi: sai come si ruba, come si trucca una delibera? Di fronte al suo sconcerto gli spiegai: la delibera la prepara il dirigente, la firma l’assessore e la porta in giunta. Se non sei capace di scoprire dove sta il trucco, sarai complice di un sistema di corruzione». Ovviamente, il professor D’Ambrosio non vuole istigare alla corruzione ma rilevare come sia importante non solo essere contro la corruzione ma essere competenti anche in termini di corruzione, come anche di potere, di amministrazione, di politica e così via. Il giusto, su cui oggi la liturgia della Parola ci fa porre l’attenzione, non è solo l’innocente ma è anche un competente. Infatti, l’innocenza del giusto non è l’ingenuità di chi non sa come affrontare le questioni, di chi si astiene, di chi si trova lì per caso, ma è la competenza di chi sa delle cose e rivela la palese discordanza con tutto quello che viene insegnato, fino a riconoscere i meccanismi del potere e della corruzione all’interno della società stessa. Una persona ingenua, per quanto rumore possa fare, non diventa giusto. Tantomeno il giusto è il vittimista del sistema corrotto, colui che si trova in mezzo e per cui la colpa è sempre degli altri. Il giusto è colui che sa le cose, che mette in evidenza la corruzione, che rivela chi sono gli empi. È curioso, infatti, che la Parola di Dio non assume le parole del giusto, ma le parole degli empi, in quanto si rendono conto di essere stati scoperti. Per questo motivo, il giusto del Libro della Sapienza viene messo a morte e condannato ad una morte infamante. Non perché è stato ingenuo ma perché ha rivelato le trame degli empi. Ed è per questo motivo che, poi, il Libro della Sapienza continua nel considerare come il giusto debba essere messo a morte da infame, ovvero screditato per non rivelare le trame degli empi. Quel giusto che non è solo il competente in materia, non è solo colui che ha studiato e ha tentato di comprendere le trame degli empi, ma è anche colui che attende il Signore. Dove l’attesa del Signore è il discrimine per essere giusto, è ciò che rende quella persona giusta. Per cui il Salmo è la preghiera del giusto dinanzi al sistema corrotto, quella preghiera che pone Dio come fondamento, come sostegno alla propria integrità, al proprio desiderio di giustizia e di non sopraffazione. E per noi che crediamo, Dio è quella sapienza che ci rende giusti, che ci fa lavorare e collaborare con le altre persone per la pace, per vivere in pace, non per essere lasciati in pace. Vivere nella pace come capacità di attingere alla sapienza divina, alla sapienza che rende giusti, a quella sapienza che, come ci ricorda Giacomo è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia. La giustizia deriva dalla sapienza e la sapienza dalla relazione con Dio. Una sapienza che assume la forma del Cristo, che è incarnazione di Cristo oggi. Per cui Gesù è il sapiente giusto in quanto conosce bene i meccanismi del potere e della corruzione. Infatti, dopo il riconoscimento di Gesù come Messia, come Cristo, da parte di Pietro, ecco che Gesù, nel Vangelo secondo Marco, inizia a parlare della propria passione, morte e resurrezione. Il giusto che viene consegnato nelle mani degli empi è il Cristo stesso. E al primo annuncio della sua morte, i discepoli iniziano ad interrogarsi su chi sia il più grande fra di loro, innescando nuovamente quel principio di corruzione e di potere che ha portato Gesù alla morte. Ecco, allora, dove si rivela la competenza di Gesù nei confronti del potere e della corruzione stessa, come ricordavamo all’inizio. Gesù riconosce subito i primi segni di una corruzione che rischia di sfaldare la comunità dei discepoli. Per questo motivo mette in mezzo un bambino come mezzo di misura per la comunione. Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti. Non c’è un annichilimento del desiderio di essere primo, ma questo desiderio diviene responsabilità e servizio nei confronti di tutti. Solo così si rimane giusti, solo in questa competenza nei propri confronti, solo in questo esercizio nel riconoscere dentro di sé i germi della tentazione verso il potere e il voler spadroneggiare, che si possono assumere compiti di responsabilità adulta, nella società, nella politica, come anche nella Chiesa. Giusti competenti per poter distinguere le trame della corruzione dentro di noi, nell’attesa di Dio che si rivela nel Cristo, il Sapiente Giusto.
Questo è il motivo per cui spesso ed oggi più che mai a gestire la politica sono i corrotti di professione. Provate a spiegarlo a costoro il senso delle parole del vangelo odierno, soprattutto a quelli che brandiscono crocifissi e rosari e poi lasciano morire i disperati in mare.
Un articolo fa riflettere molto. Messaggio da diffondere e condividere. L’assuefazione all’ empietà danneggia più della stessa empietà.