Sacra Famiglia, luce del mondo
1Sam 1,20-22.24-28; Sal 83; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52
La festa della Sacra Famiglia, quest’anno, non ci riporta ai valori stantii di una famiglia tradizionale che ancora fatichiamo a rintracciare nella storia. Celebrare la festa della Sacra Famiglia, oggi, ci riporta con il pensiero alla parrocchia della Sacra Famiglia presente a Gaza. Non alle solite retoriche di una famiglia tradizionale ma ad una famiglia ben più grande e più ampia, una famiglia che ci spinge ad alzare lo sguardo e a ritrovare tutti i nostri fratelli e sorelle che sono sparsi nel mondo. Il cardinale Pizzaballa ha affermato, nell’omelia del 22 dicembre presso la parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, che gli occhi del mondo sono fissi su Gaza e i cristiani di quella terra sono, oggi, la luce del mondo. Ma come è possibile pensare questo? Come è possibile pensare che, in mezzo alle macerie, ci possa essere ancora speranza? La comunità della Sacra Famiglia, ci riporta non solo allo sdegno di uno sterminio che si sta compiendo in Terra Santa, ma anche alla luce che viene nel mondo, allo sguardo nuovo che il mistero dell’incarnazione ci pone dinanzi. Una luce che risplende lì, dove le tenebre sono più fitte, dove le macerie più dense, dove la morte e la violenza sembrano essere le uniche direttrici della storia. Cristo nasce proprio lì, nasce nel freddo di una notte di Gaza, in mezzo ai cristiani perseguitati, in mezzo alle nostre tenebre ed è in quel momento lì che riscopriamo il nostro essere famiglia. Allora, la luce che viene nel mondo, il bambino che nasce diviene simbolo di un modo differente di guardare il mondo. Si tratta di riconoscere come la luce sia in mezzo alle macerie, come quattro bambini morti al freddo e al gelo siano, oggi, la vera luce che inonda le tenebre. Non solo sdegno impotente per quello che avviene, ma capacità di guardare alla realtà e di portarla dinanzi a Dio, come Anna. Un figlio che viene richiesto al Signore e per il Signore, non è un figlio che diviene una proprietà privata di Anna, un bimbo di cui lei e solo lei è genitore, ma è un bambino che viene al mondo e che abita il mondo stando dinanzi al Signore. La sacra famiglia è tale nella misura in cui ogni vita è sacra, in cui ogni vita è responsabilità della grande famiglia umana. L’abitare nella casa del Signore, allora, non è abitare in chiesa o pensare di essere piccoli padroni delle chiese, ma rendere questa chiesa una famiglia sacra, una famiglia che inonda il quartiere, che diviene para oikòs, casa fra le case. In questo da una parte ci riconosciamo come figlio di Dio e lo siamo realmente, mentre dall’altra parte comprendiamo quelle parole di Gesù nel tempio in cui afferma che si occupa delle cose del Padre suo. Non siamo figli di Dio solo nel tempo, ma siamo figli di Dio, come ci ricorda Giovanni perché ci amiamo gli uni gli altri, perché il nostro amore non conosce i limiti e i paletti di un recinto clanico dove la famiglia viene assimilata ad una cerchia ristretta, come una famiglia mafiosa. Ma la nostra famiglia è sacra perché comprende tutte le persone, perché allarga gli orizzonti, perché ci vede in comunione di preghiera anche con la sacra famiglia di Gaza, perché fa di quei bimbi morti di freddo la luce nuova che viene ad abitare in mezzo a noi. Il tavolo di un obitorio e un papà che guarda, senza più lacrime, il corpicino di Sila senza più il calore della vita, è quella luce attraverso cui guardare le nostre realtà. Questa è l’intelligenza di un Verbo incarnato che scardina anche le certezze dei dottori della Legge nel Tempio. Questa, se vogliamo è la disubbidienza di Gesù che abbiamo sempre tenuto nascosto in nome di una sottomissione servile e cieca ai genitori. Una sottomissione che, spesso, non ci fa crescere in sapienza, età e grazia, ma che diviene scarico di frustrazioni dei genitori. La sottomissione di Nazaret non è il servilismo dei figli ma la capacità di Gesù di scendere nell’umano, di imparare un mestiere, di condividere il quotidiano, di crescere come tutti noi. Una crescita in sapienza, età, grazia, che rende anche noi, in Cristo, luci del mondo nella misura in cui non cediamo alla violenza, all’odio, alla rassegnazione. Come ha ricordato Pizzaballa citando un parrocchiano di Gaza: Una volta uno di voi mi ha detto: “Come cristiani, non c’è violenza nel nostro sangue. Vogliamo rimanere cristiani e rimanere la luce in questo luogo”. Questo è ciò che ci rende, in ogni luogo, Sacra Famiglia.