Ringraziare come atto politico
In chiusura di quest’anno, dopo tante riflessioni sulla città, ne presentiamo una squisitamente politica. Si tratta, infatti, di una delle attività più politiche che si possano vivere in città e, paradossalmente, la meno utilizzata. Questa attività politica è il ringraziare. Come ben sappiamo, la politica è arte della polis, pratica della città, spesso assimilata al governo o all’amministrazione della città. Questo ha creato quella che, ormai, siamo soliti chiamare classe politica. Quasi come se fosse una classe sociale distinta, privilegiata o vessata, vessata perché privilegiata e, al tempo stesso, privilegiata perché vessata. Vessata perché privilegiata in quanto raccogliticcia di tutti gli stereotipi di cui già sappiamo, mentre privilegiata perché vessata in quanto valvola di sfogo di tutte le lamentele, le frustrazioni, gli odii che albergano in città. Non c’è nessun’altra classe sociale capace di essere, al tempo stesso, messa ammirata e criticata, soggetta a continue polarizzazioni all’interno delle città. Ma, proprio in quanto classe, la politica è diventata materia di alcuni capace di determinare la vita di tutti, consapevoli o inconsapevoli. Il cittadino, oggi, è sempre più colui che delega, non solo potere alla classe politica, ma la sua stessa cittadinanza, ad una classe che assomiglia sempre più ad una grande mamma che deve occuparsi dei suoi figli, decidendo per loro. Questo è il fondamento della classe politica, la quale riduce al silenzio, all’in-fans, all’infantilizzazione il cittadino, che brama ancora che qualcuno decida per lui, in tutto e per tutto. La classe politica, insomma, è tale solo quando il cittadino rimane un bambino incapace di decidere per sé, e il politico assume i tratti del paternalismo ogni qual volta il cittadino delega la sua cittadinanza, il suo essere politico, avendo così il pretesto di lamentarsi ogni volta che le cose non vanno bene. In questi termini, la lamentela è la parte più visibile di un infantilismo della cittadinanza che invoca un padre padrone politico in grado di risolvere tutte le situazioni. Ma, allora, come il ringraziare assume un valore politico, anzi, secondo noi assume il più alto valore politico? Per prima cosa perché è frutto della consapevolezza di un sistema complesso dell’arte politica. Secondo perché è capace di guardare a ciò che funziona, ai progressi fatti da qualsiasi tipologia di amministrazione che si sussegue. Terzo perché assume una postura autonoma nei confronti di tutte le forme amministrative e di potere che sono in città, in quanto non guarda al ruolo che uno occupa ma alle sue capacità, a ciò che riesce a compiere. Da questa postura di ringraziamento si può guardare a ciò che un politico non riesce a compiere, non è capace ancora di fare o non può fare. E questo implica anche un porsi domande, un chiedere cosa io, in quanto cittadino politico, posso fare e posso mettere in atto per far crescere la mia città. Ringraziare, infine, è ciò che permette ad una comunità di riconoscersi come tale dopo un processo, dopo un cammino fatto, nella complessità delle luci e delle ombre, nella pluralità delle prospettive che costellano una città, nella non riduzione ideologica e monoculare. Ringraziare, insomma, significa entrare in un’ottica di corresponsabilità della cittadinanza, in grado di vedere i passi che non ha compiuto una sola classe politica ma un’intera città. E significa anche guardare alle storie di tutte quelle persone che per l’arte politica hanno perso e continuano a perdere nella costante tentazione di un potere che logora chi lo detiene e chi lo vorrebbe. Significa avere un po’ di compassione per rimanere umani, ricordandoci che la politica non è delega a partiti, movimenti, amministrazioni, liste, ma consapevolezza di essere al mondo, di essere cittadini, di essere comunità umana e urbana.
La politica, quale arte-scienza delle migliori scelte possibili in un dato tempo storico finalizzate al miglior bene comune possibile , e’ disciplina nobilissima che merita il grazie collettivo a chiunque la opera in questo senso.
Mi riferisco , oltre alla politica che si opera nelle istituzioni, alla politica che ciascuno di noi opera nel suo quotidiano. Sono le nostre scelte ordinarie , apparentemente ininfluenti , culturali, etiche, economiche, comunicative che determinano i modi della politica militante, specchio di ciò che siamo. Ciò non sia alibi per chi opera politicamente nelle istituzioni ma piuttosto assunzione di responsabilità per tutti. Un grazie sincero, quindi, a chiunque , col carisma del ruolo sociale che riveste, ha operato nel corso dell’anno trascorso in modo politicamente benefico e democraticamente espansivo.
Certamente il ringraziare, nell’ottica della corresponsabilità della cittadinanza, é anche un atto di attenzione. Sono d’accordissimo sulla riflessione da fare circa lo strumento della delega. Qualcuno diceva che é un abito che ci siamo cucito addosso e lo indossiamo molto comodamente. Spero di sbagliare e l’analisi che fa oggi Ilvo Diamanti su la repubblica, circa l’incertezza della democrazia, mi fa sperare in un mio errore, poiché parla di un aumento della partecipazione da parte dei cittadini.
La scarsa consapevolezza del ruolo che ogni cittadino ha ci porta a fare scelte scellerate come votare senza discernere o non votare affatto, siamo appunto infantili quando non ci assumiamo responsabilità, e ci facciamo conquistare dal populista di turno, speriamo in meglio per il 2024
Torneremo a pertecipare. Ne sono certa
Dubito che i cittadini italiani torneranno a partecipare dal momento che la politica obbedisce ai poteri forti, incanala energie e risorse dove già ce ne sono ma da classe privilegiata, e soprattutto dimenticando il bene comune a partire dai più diseredati. Di cristiano questa politica degli ultimi anni non ha neanche la puzza per dirla con papa Franesco