Raggianti e rivoluzionari
Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12
Oggi la Parola ci parla dell’Epifania del Signore, ci rimanda ad una manifestazione luminosa di Dio dinanzi a tutte le genti. La Solennità dell’Epifania, Natale per la fede ortodossa, è la festa della luce, di una luce nuova che brilla e che si espande, che contagia e che ci permette di camminare tutti, anche quando intorno a noi ci sono solo tenebre. Questa è la bellezza dell’epifania di oggi, di una luce nuova che giunge nelle tenebre. Una luce che risplende in un luogo ben preciso, in una località specifica: me stesso. Non è solo la luce della stella cometa che brilla sulla grotta, è la grotta, la casa in cui è Gesù ad essere piena di luce, in quanto è nata la Stella. Quella luce che si è fatta carne, oggi brilla sul volto di ciascuno di noi. Le parole di Isaia ci richiamano a questa ammonizione della luce, a questa venuta della luce sui nostri volti. Isaia ci invita ad alzarci perché giunge la nostra luce, quella luce che ci riveste, quella luce che splende su di noi, che ci rende raggianti, belli, che fa palpitare il nostro cuore, che offre gusto alla nostra vita. Questa è la luce che viene, questa è la luce che promana da dentro di noi, perché il Cristo è dentro di noi. Una luce che splende su di noi, splende dentro di noi, che permette alle genti di camminare alla nostra luce, di essere guide e orientamento per le altre persone con la nostra stessa vita. Si tratta di una luce che rivoluziona l’esistenza, che la trasforma affinché possa essere testimonianza e fiaccola anche per le altre persone. Si tratta di quella rivoluzione personalista e comunitaria che Emmanuel Mounier ci ha indicato come vita nello spirito, come dimensione dello spirito. Dove il nostro compito non è quello di organizzare rivoluzioni, di approntare chissà quali strategie per creare comunità, ma è il nostro stesso essere raggiunti che ci fa persone e che crea comunione, che permette di allenarci alla comunità come orizzonte dei popoli, come orizzonte in cui incontrare la luce di Cristo. È una rivoluzione che ci permette di prendere le distanze da tutto ciò che è falso moralismo, da tutto ciò che è perbenismo, da tutto ciò che è mediocrità per aprirci al dono di noi stessi, per dare significato alla nostra vita attraverso ciò che doniamo. È qui che si pone la differenza fra i Magi venuti da Oriente ed Erode. Fra i Magi che seguono la stella, che vedono ciò che è palese agli occhi di tutti, che seguono quella luce di Cristo per cui non servono altre luci e che fanno dell’adorazione al bambino un dono di sé. Adorare il bambino, per i Magi, infatti, significa donare e il dono indica il loro stesso essere, la preziosità della loro condizione che è anche la nostra quando la luce del Signore brilla su di noi. Quella luce di Cristo che ci fa diventare cristici, che diviene luce cristica nella nostra vita nel senso che ci trasforma in Cristo stesso. Questa è l’esperienza che ha vissuto Paolo stesso quando afferma che gli è stato affidato il ministero della predicazione affinché tutte le genti possano essere riunite per mezzo di un solo Vangelo, per mezzo di un solo annuncio della Parola. Quelle genti che sono riunite non sono un concetto generico ma universale. Sono quelle persone che Paolo incontra e dinanzi al quale e per le quali è diventato luce egli stesso, portando la luce di Cristo. E chi è raggiante non si lamenta, non cede allo sconforto, ma diviene uomo e donna rivoluzionario in quanto persona, in quanto capace di costruire comunione, di vivere nella comunione lì nei luoghi dove ci si trova, nella bellezza della vita, nel gusto di una vita che mira in alto e che non si accontenta delle lamentele, delle mezze misure, delle mediocrità ma cerca una luce che risplende e che rivoluziona, giorno dopo giorno.