Progetto per una Urbanistica in transizione
Urbanistica in transizione è un’opera scritta a quattro mani da Roberto Cassetti e Pier Luigi Paolillo. Un tentativo di cucire e ricucire i nessi della disciplina urbanistica per comprenderne non solo la storia, ma dove quella storia può portarci oggi. L’intento dell’opera, dunque, è quello di una transizione all’interno dell’urbanistica come disciplina, per scorgerne i passaggi che ha vissuto nella sua storia, dal Movimento Moderno in poi. Ma, ancor di più, l’intento dell’opera non è di tracciare una storia dell’urbanistica quanto di comprendere il problema, l’assetto, l’orientamento, il progetto dell’urbanistica oggi. In altri termini, dove sta andando l’urbanistica? Ha ancora senso pianificare le città? C’è bisogno di uno Stato pianificatore forte, oppure occorre lasciare l’iniziativa ai privati nella gestione della città? E se lo Stato interviene, a nome e per conto di chi? Dopo il Movimento Moderno, dopo gli strascichi lasciati da una pianificazione a tavolino, ha ancora senso pianificare le città? Che rapporto sussiste fra pianificazione e progetto, per una città democratica? Tutte queste domande e sollecitazioni avrebbero bisogno di ampi spazi di intervento e di discussione, eppure l’intuizione di Cassetti e Paolillo è quella di una ripresa della pianificazione nell’Età del Rischio. Dopo l’Età d’oro del Movimento Moderno, ci siamo trovati dinanzi all’Età dell’Incertezza, con integrazioni e rifacimenti continui di piani urbanistici. In altri termini, la pianificazione della città può avvalersi di eccezioni e rifacimenti continui, che hanno portato, spesso, ad una caotica dell’urbano dovuta ad una rapida ed economicamente rilevante costruzione di case ed edifici, da ogni parte e in ogni spazio. Collasso della pianificazione e, al tempo stesso, collasso delle città. Per questo, oggi, occorre riprendere a pianificare con un progetto che sappia rischiare, che si adegui non solo alle esigenze dell’essere umano come può essere il bisogno di case (qualora ci fosse questo bisogno), ma alle esigenze dell’ambiente, della morfologia del territorio, dell’intera regione come anche delle città vicine. Così, Cassetti e Paolillo ci mettono dinanzi ad una intuizione particolare: il simbolo. Per pianificare occorrono simboli, ovvero rimandi alla ricerca e costruzione di senso all’interno delle città, alla spiegazione e al motivo per cui costruire o meno, per cui costruire in un modo o in un altro, per cui facilitare delle attività piuttosto che altre. Progettare, dunque, significa rischiare, perché è questo che costituisce e costruisce la democrazia.
Bella la proposta di una urbanistica che “costruisce simboli” . Sembra di ritornare all’ età premoderna. Obelischi, fontane scultoree, campanili, cupole, cattedrali, monumenti. Forme architettoniche che la cultura urbanistica contemporanea , con li suoi principi antimonumentali e quindi antisimbolica, ha estromesso dalla città. In vero li ha sostituiti con grattacieli, sedi di banche e di compagnie assicurative.
Nuovi simboli della libera e felice (?) civiltà capitalista e consumista che domina il mondo.
Allora vogliamo liberarci da tutto questo dusarmante materialismo?
Vogliamo ritornare a desiderare du costruire cattedrali
Be’, per poterlo fare, ricostruiamo , in noi, la fede.