Placemaker: la visione della città
Letteralmente placemaker significa costruttore di luoghi. Termine inventato dall’urbanista Elena Granata e che strappa la città e, in modo particolare la rigenerazione urbana, dalla maglie del tecnicismo. Cosa significa, infatti, rigenerare una città? Secondo Elena Granata, la rigenerazione della città è una pratica che nasce con la città stessa. Rigenerare significa, in sintesi, apportare delle modifiche ai tessuti urbani seguendo le trasformazioni contemporanee. La città non nasce con la nostra presenza all’interno ma ogni città ha una storia o, meglio ancora, ha una sua storia. Per questo, la rigenerazione urbana delle città si gioca su due fattori: la narrazione storica della città e la contemporaneità che ci troviamo a vivere. Fra queste due polarità rientrano non solo le cronache di una determinata epoca storica, ma anche la cronaca più recente, le mutazioni relazionali, sociali e antropologiche che hanno caratterizzato e che caratterizzano tutt’oggi modelli di città. Rigenerare, infatti, non riguarda semplicemente la messa in sicurezza, la riqualificazione delle strutture, il rifacimento strutturale degli edifici o delle aree degradate. La rigenerazione urbana rimette in circolo un campo di forze che vanno dalla riattivazione delle economie locali, al significato dei luoghi, passando per le relazioni che ci sono e che si possono creare all’interno dei luoghi stessi. Insomma, rigenerazione urbana ha a che vedere più con le comunità, con il tessuto sociale di un territorio che con le grandi firme e i grandi ambiti di intervento. Ovviamente, non vogliamo contrapporre l’uno all’altro, ed è per questo che emerge la figura, codificata da Elena Granata, del placemaker. Persone comuni che si prendono cura di un luogo pubblico, preti che investono nella riqualificazione delle parrocchie per darle in gestione a cooperative di ragazzi della comunità, cittadini che creano nuove reti di produzione agricola in chiave tecnologica, attivatori dei territori in grado di lavorare attraverso vari linguaggi, i placemaker non sono solo le grandi firme o i grandi architetti, ma le persone comuni che si prendono cura dei luoghi in cui vivono e dei luoghi che le future generazioni abiteranno. Si tratta, insomma, di una nuova filosofia della città, di un nuovo modo di pensare all’eredità del passato non aggiungendo ulteriori manufatti, ma ripensando, ridando significato, inventando nuove connessioni multidisciplinari e transdisciplinari fra le persone. Una nuova visione di città in cui ciò che primariamente conta non è l’interesse privato, ma lo spazio pubblico, la capacità di mettere a disposizione le energie del privato in una circolarità pubblica, attivando le risorse già presenti nel territorio e che spesso sono inespresse. Si tratta di osare una visione, di andare oltre il fotocopiato e il costruibile, oltre il pianificabile e lo stereotipo. Per una città in divenire.