Periferie competitive
Nella loro ultima pubblicazione, Periferie competitive. Lo sviluppo dei territori nell’economia della conoscenza, Giulio Buciuni e Giancarlo Corò, riflettono sulla relazione fra economia della conoscenza e città. L’innovazione tecnologica non si sviluppa in maniera eguale dappertutto, all’interno del globo, come non si sviluppa allo stesso modo all’interno delle singole città. Ci troviamo, infatti, dinanzi ad una disparità continua non solo fra Paesi e regioni, ma anche all’interno della stessa nazione, all’interno delle stesse città. Nella classificazione economica delle città, dunque, si vengono a creare Alfa Cities, città dominanti in un gruppo di città, le quali concentrano dentro di sé talenti, creatività e capitale. Città che diventano dominanti su altre città di seconda, terza e quarta categoria, le quali perdono non solo capitale ma anche densità di popolazione, diventando, come le definisce Alessandro Coppola, Apocalypse Town. Città disgregate, periferie non solo in se stesse ma di altre città in cui si agglomerano mercati, investimenti e industrie di una nuova economia, non fondata sulla manifattura ma sulla conoscenza. Una economia che favorisce le start up, che produce innovazione tecnologica e tende ad attrarre continuamente manager e holding, persone e investimenti globali. Dinanzi a questo mercato, a questa nuova economia che ha distretti industriali molto forti, le scelte politiche sembrano essere dei prodotti dell’economia stessa, più che dei catalizzatori di economia. Le istituzioni locali, infatti, rischiano di diventare impotenti dinanzi ai processi di economia della conoscenza che riguardano processi globali. In questa prospettiva, rientra il concetto di Buciuni e Corò di periferie competitive. Il concetto di periferia competitività non riguarda solo la questione dello spazio all’interno della città, ma una dominanza di città centrali e di città periferiche, a livello economico. Identifichiamo, allora, tutte quelle città che non appartengono alle città alfa come città periferiche che rimangono fuori dai circuiti dell’economia della conoscenza. Paradossalmente, dunque, l’innovazione tecnologica non riesce ancora a decentrare le forze e le risorse, per disseminarle all’interno dei territori, ma ad accentrarle all’interno di solo alcune città dominanti in cui vengono a crearsi ulteriori disuguaglianze. Allora, la grande questione sarà come rivalutare i territori dinanzi ai grandi attrattori economiche. Una prospettiva potrà essere l’università che fanno da leva su studenti che rimangono all’interno dei luoghi di studio e investono o lavorano nelle città di respiro internazionale. Investire, innanzitutto, sull’università e sul sistema universitario aderente ai territori, per creare non solo grandi centri di innovazione ma anche periferie competitive.
Bella la tua analisi che condivido appieno da un osservatorio come Venezia che, ad esempio, vive il paradosso di voler essere una città universitaria senza avviare nessuna pratica per facilitare la vita di studenti e docenti. Tanto a monte e a valle di una spudorata concentrazione di valore e di ricchezza nelle mani di poche istituzioni, aziende e attività commerciali.