Parola e Corpo
Gs 24,1-2a.15-17.18b; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
Nei giorni scorsi ho avuto la possibilità di vistare la mostra Limes presso il Forte Ardietti vicino Mantova dell’artista Renzo Peretti. Il lavoro si concentra sulle brutture della guerra, attraverso un lavoro di Ardietti incentrato sui corpi. Ripartendo dai calchi dei corpi anatomici, cari alla storia dell’arte, la mostra si caratterizza per l’ammasso di questi corpi, di queste carni accompagnati da grandi tele dove i segni, le membra, le parole si sovrappongono, fin quasi a cancellarsi. È stato interessante notare l’accostamento di corpi smembrati, scuoiati, attaccati a delle grucce che, di giorni in giorno, cadevano a terra, oppure corpi ammassati l’uno sull’altro, appesi o a pezzi che si rifrangono su tele di parole cancellate. Perché quando le parole si scuoiano ecco che i corpi vengono cancellati, fino a diventare cose, semplice massa. Una relazione audace fra Corpo e Parola che ritroviamo nella liturgia di oggi. Gesù comprende che il linguaggio che sta utilizzando è duro ma rincara la dose, non viene meno a quella promessa di vita che è il suo Corpo. Una promessa di vita che vede nel dono di sé, la consapevolezza di unire Parola e Corpo, di ridisegnare il Corpo con la Parola e di imprimere la Parola attraverso la donazione del Corpo. Per questo, anche oggi nella liturgia, Parola ed Eucarestia sono intrinsecamente unite ed entrambe sono la presenza di Dio in mezzo al popolo, l’essere convocati dinanzi a Dio, come ricorda il libro di Giosuè. Non c’è solo il sacrificio eucaristico, ma la presenza di Dio è anche nella Parola, ed è questa unione fra Parola e Corpo che ci richiama alla vita, che ci fa vivere delle relazioni profonde ad immagine di Cristo con la Chiesa. Un linguaggio duro per alcuni che divengono, per Pietro, parole di vita eterna, quando scegliamo di credere, quando la Parola diviene carne nel nostro Corpo, quando il nostro Corpo è in grado di esprimere la Parola. In una dimensione semplicemente umana chiameremmo tutto questo coerenza, ma nel cammino di fede siamo oltre la coerenza stessa, siamo in una prassi di liberazione che invoca santità. Infatti non è solo una questione di coerenza ma anche di una Parola e di un Corpo che si tiene libero dagli idoli, che si ricorda della Parola/Corpo del Signore con segni e custodia. Segno e custodia che indica una vicinanza del Signore a dispetto degli idoli del passato come quelli del presente, di tutto quello che può sbiadire la Parola e scarnificare il Corpo. Idoli che sono sempre presenti e sempre in agguato e che inficiano anche le relazioni che viviamo. Per questo Paolo indica non solo il matrimonio ma ogni relazione come immagine e somiglianza di Cristo e della Chiesa. Una lente ermeneutica delle nostre relazioni in cui il Corpo e la Parola si fanno sempre presenti, in cui comunichiamo attraverso il Corpo e la Parola, come Cristo e la Chiesa comunicano fra loro, come noi ci comunichiamo alla Parola e all’Eucarestia ancora oggi. Gustare e vedere, allora, significa non solo mangiare l’eucarestia, ma anche gustare e vedere che il Signore è buono anche nelle relazioni che viviamo, nell’amare questo nostro corpo e nel dire parole belle nei confronti delle altre persone. E sono questi i segni della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, i nostri corpi e le nostre parole, iniziare ad amarci un po’ di più in questo corpo e nelle nostre parole, mettendo un argine alla sovraesposizione e al frastuono che ci rendono schiavi di odierne idolatrie. Gustare e vedere che il Signore si comunica a noi attraverso il Corpo e la Parola, perché le sue parole sono spirito e vita e noi abbiamo creduto e conosciuto che Egli è il Santo di Dio.