Nell’arcobaleno
Gn 9,8-15; Sal 24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15
Giungere in una condizione umana al limite fra la bestia e l’angelo. Questo è il deserto in cui Gesù viene sospinto dallo Spirito in questa prima domenica di Quaresima. Una domenica che vede Gesù andare nel deserto, subito dopo aver ricevuto il Battesimo. Il deserto, come già sappiamo, è il luogo in cui Dio ha concluso l’alleanza con il popolo di Israele ma è, ancora di più, il luogo in cui Gesù vive la sua esperienza spirituale più profonda, quella esperienza che lo porterà a riconoscere come quella luce del Battesimo si sia irradiata e rifratta in tante altre luci, in un arcobaleno di luce. Se volessimo utilizzare una delle immagini più iconiche della storia recente, potremmo pensare al celebre prisma attraversato da una luce che si rifrange in mille colori. Quel prisma che i Pink Floyd hanno utilizzato per il loro album più famoso The Dark Side of the Moon. Un album molto particolare in quanto racchiude la nascita e la morte, in cui il tempo fa da vero padrone di tutto l’album, come anche delle nostre storie. Eppure, quella luce che si rifrange sul prisma assume una varietà di colori, una varietà di sfumature che riguardano tutta la nostra vita. Una varietà di figure, di accenti, di incontri, di relazioni in cui la luce continua a splendere, seppur nella differenza e rifrazione dei colori. Nel deserto, Gesù vive questo suo essere prisma, questa sua consapevolezza che quella luce del Battesimo che è giunta a lui dai cieli aperti, è quella stessa luce che ora si rifrange in una dialettica fra il bestiale e l’angelico, nella nostra stessa condizione umana. E se noi molto spesso cerchiamo la luce, una luce pura e diafana, il percorso quaresimale ci invita a cercare i colori, a guardare alla sfumatura della nostra vita e all’arcobaleno dei mille colori che caratterizza la nostra storia, come segno di alleanza fra noi e Dio. Un segno di alleanza che ritroviamo nella Genesi, in un Dio che parla a Noè dopo il diluvio e gli dice che pone il suo arco sulle nubi come segno di alleanza non solo con lui o con quelli della sua famiglia, ma con tutte le persone, con tutte le creature. Il segno più profondo dell’alleanza è dato non dalla luce pura che non riusciremmo mai a vedere pienamente in questa vita, come neanche dal nostro essere semplicemente angelici o bestiale. Il segno dell’alleanza è dato dalla varietà, dalla molteplicità, dalla pluralità delle nostre condizioni di vita e della società. Quando sappiamo scorgere la pluralità e la differenza dei colori, sia nella nostra vita sia nella società, allora riusciremo a scorgere quell’arcobaleno che diviene segno di alleanza fra Dio ed ogni creatura. È l’arcobaleno il segno che salva, il segno di una luce che incontra l’acqua, che non mette da parte il diluvio come se non fosse accaduto nulla ma che attraversa quell’acqua diventando colore. Quell’acqua del diluvio che, come ci ha ricordato Pietro, è l’acqua della salvezza, l’acqua che irradia, che non ci dice che siamo dei sopravvissuti a questo mondo ma che siamo salvati, che la nostra vita è chiamata a splendere in una multiformità di colori. Ed anche Gesù ha compreso e riconosciuto tutto questo nel deserto. Ha riscoperto che quell’acqua in cui era stato immerso sarebbe diventata rifrazione della sua luce, rifrazione in ogni incontro e in ogni avvenimento della sua vita, sarebbe diventata quel Vangelo a cui convertirci, quella buona notizia che ci fa pregare che: Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà.