Nella grande città
Gn 3,1-10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-20
In un suo intervento, pubblicato sull’ultimo numero di Logoi.ph, Sabino Chialà si sofferma a raccontare di Ninive, della sua conversione e del profeta Giona. Ciò che pone in evidenza Chialà è il fatto che Ninive è una grande città, il che nella Scrittura indica quasi una impossibilità della conversione. La grande città di Ninive è la città maledetta, la città oscura, la città impossibile da convertire ma la cui sola soluzione sembra l’annientamento. Ninive è la megalopoli di oggi, la città che vive di violenza e desolazione, una città che disumanizza. È la città della dea Nina-Ishtar, in siriaco, dea della guerra e dell’amore, e di questo doppio volto vive la città, vicina all’attuale Mosul. È una missione impossibile, una megalopoli che è impossibile da convertire e questo Giona lo sa bene, tanto che sceglie di non andare a Ninive, ma di scapparsene, per poi essere ripreso e indirizzato nuovamente da Dio verso la grande città. Una città che diviene luogo di conversione dei niniviti e di Dio stesso. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece. E Sabino Chialà afferma che se c’è possibilità di conversione per Ninive, allora c’è speranza per tutti. Questo è ciò che ci insegna la profondità della conversione. Una conversione che non è uno spettacolo, non è una recita o una grande manifestazione, ma una pratica che contagia le altre persone, che vive nella città, che si instaura fra le persone. conversione, allora, diviene preghiera del Salmo: Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Diviene una conoscenza del Signore, una possibilità di conoscere e camminare dietro al Signore. Non è solo cambiare atteggiamento nei confronti delle altre persone, ma contagiare, comunicare, dialogare una conoscenza delle vie del Signore, non a parole ma con una pratica di vita. Ecco, allora, che la conversione diviene pratica di vita in relazione ad un fine che viviamo, giorno dopo giorno, nella città. Un fine che non ci fa cedere alle lamentele e non ci schiaccia su ciò che possediamo già, ma che apre a prospettive e spazi inediti. Per questo Paolo afferma alla comunità di Corinto che il tempo è vicino e che occorre prendere una certa distanza da ciò che già viviamo e ciò che già abbiamo acquisito. Significa aprire spazi nuovi, porre una distanza e non accontentarsi di ciò che già abbiamo, di ciò che abbiamo già conquistato e che ci fa stare tranquilli e sereni. Si tratta di camminare, di porsi ancora in un atteggiamento di conversione che è molto di più del cambiare atteggiamento. Conversione diviene vocazione, chiamata a seguire Gesù, a camminare secondo i suoi passi e alla luce della sua Parola. Significa vivere il quotidiano, come era la pesca per Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, ma in un modo differente, in una postura alta e altra. Un Gesù che non sta rinchiuso negli spazi angusti e non rimane neanche lì dove era stato arrestato Giovanni Battista. Ma è un Gesù che si incammina per le strade della Galilea, che vive per strada, che ha negli occhi un orizzonte diverso rispetto alle solite cose già viste e già sentite. Un Gesù che incontriamo nelle grandi città dove sembra che l’essere umano si perda in spirali di violenza senza senso. Un Gesù che incontriamo nelle nostre città nella misura in cui la conversione diviene vocazione e la vocazione nuova rigenerazione della città. Un processo che ha bisogno di ciascuno e ciascuna di noi, nelle prassi del quotidiano.