Movida, ermeneutica e individualizzazione
Quando parliamo di movida nei centri urbani, non vogliamo solo trattare di un argomento sociale o di un fenomeno sociologico o, peggio ancora, di alcuni episodi legati alla cronaca e a fatti di sangue nelle singole città. Quando parliamo di movida vogliamo aprire, innanzitutto, una riflessione simbolica fra l’individualizzazione e la città. Infatti, la città altro non è che una interpretazione dell’essere umano attraverso le epoche storiche. Guardare alla città, dunque, significa non solo guardare alle formazioni urbane, ma ricollegare le sue forme ad una precisa percezione che l’essere umano ha di se stesso. Se vogliamo comprendere o, perlomeno, osservare cosa l’essere umano dica di sé e come esso si ponga nelle relazioni con gli altri, non possiamo prescindere dalla dimensione urbana, dalla città. La città, dunque, funziona da specchio o, meglio ancora, da testo ermeneutico dell’essere umano. Stefano Boeri, in una delle sue opere, afferma che la città è una scrittura, è un testo attraverso cui possiamo leggere l’essere umano, le sue mutazioni, le considerazioni che esso ha di sé stesso e degli altri. Interpretare l’urbano significa interpretare l’umano, e viceversa, in quanto ogni città aiuta i suoi abitanti a interpretare loro stessi. Ovviamente, interpretare ci permette di non chiudere il cerchio deterministico per cui ogni singola espressione umana può dirci qualcosa sul tessuto urbano ed ogni fenomeno urbano può dirci qualcosa sull’essere umano, ma dietro questa relazione non esiste nulla di già determinato e strettamente consequenziale. Tuttavia, seguendo questa intuizione ermeneutica, possiamo riflettere sul profondo legame fra movida e processi di individualizzazione. Anzi, guardando alla movida del sabato sera, osservandone gli svolgimenti e gli spazi che occupa, possiamo affermare che la movida è l’esatta interpretazione del processo di individualizzazione dell’essere umano. Dalla foto allo specchio in ascensore per mostrare il proprio outfit fino a giungere al postare il cocktail preso, passando per i processi di gentrification del centro urbano, tutti parla di una individualità che vive nella misura in cui è guardata dalla folla intorno, nella misura in cui si mostra e dimostra ciò che è attraverso ciò che ha. Regole non scritte di affermazione della propria individualità che non vogliono scadere nel facile moralismo, ma manifestare come il bisogno di essere se stessi sia possibile solo nella misura in cui mi conformo agli altri, solo nella misura in cui mi rendo visibile allo sguardo degli altri. E gli eventi sociali della movida favoriscono proprio questo, sono occasione di visibilità, legando gli spazi urbani ad una visibilità non dello spazio in sé quanto al mostrarsi agli altri. In altre parole, non interessa nulla dei monumenti del centro storico in cui si aprono la maggior parte dei locali, non ci interessa nulla del valore storico o artistico di un edificio o della storia di un porto marittimo. Ciò che davvero interessa, in una prospettiva individualizzante, è che la città sia da sfondo e vetrina al mio essere visibile. In questo senso, il testo della città esprime l’interpretazione che ho di me, delle figure di potere che mi rappresentano e in cui mi configuro. Per cui la movida è un fenomeno legato a come io mi vedo, a chi sono io. Il cambio culturale della movida, indica un cambio culturale di visibilità. Da fermento culturale a trasgressione nasce un bisogno che muta e che riprogramma anche la città e tutto il territorio.