Memorie di piccola città
La canzone di Guccini, Piccola città, non è solo una comprensione dell’infanzia del nostro autore, ma anche un modo di vivere all’interno della città stessa. Infatti, vivere in città non significa solo passarci del tempo, ma anche narrare la propria storia. Abitare, nel senso più autentico, è sempre un tessere la propria storia con quella della città. E la propria storia riguarda anche le dimensioni della città. Infatti, una cosa è narrare la propria storia all’interno di una piccola città, un’altra è narrarla all’interno di una megalopoli o di una città sconosciuta. Non che ci siano giudizi di valore riguardo alle dimensioni di una città o che una storia sia, in qualche modo, dipendente dalla grandezza della città dove è cresciuta. Ma c’è una specie di influsso, un osmosi fra la propria storia e la storia della città. Prendendo, ad esempio, la canzone di Francesco Guccini, possiamo notare come l’infanzia trascorsa in una piccola città sia contornata, fondamentalmente, di due dimensioni. La prima dimensione è quella della vicinanza o prossimità. La piccola città favorisce le relazioni e la conoscenza reciproca, se non per una propria vocazione alla socialità almeno per il trascorrere della quotidianità all’interno dello stesso tessuto urbano. La seconda dimensione, che rivela in qualche modo l’altra faccia della prossimità è il controllo morale sulle persone. Conoscendosi tutti viene più facile temere di essere sulla bocca di tutti, di essere oggetto di chiacchiera o di pettegolezzo. E, per non finire sulla bocca di tutti, occorre mantenere un certo standard morale, ovvero adeguarsi alle tradizioni, a ciò che viene trasmesso di generazione in generazione. Per questo motivo, le piccole città sono sempre un po’ più restie al cambiamento e si trovano dinanzi ad una duplice scelta di carattere politico: entrare in una rete di sviluppo socio-economico oppure svuotarsi. Dunque, se le piccole città sono sempre più propense alla conservazione morale che favorisce un controllo sociale, d’altro canto possiamo affermare che il trasferimento nelle grandi città non è la soluzione. Non si emigra nelle grandi città per fuggire al controllo morale preferendo l’anonimato e il privato come sfere della libertà. L’alternativa alla piccola città non è la grande città, ma la memoria. Fantasia, malinconia, incubi oscuri, periodi di buio sono tutti elementi che non albergano nella città in sè, ma nella percezione di noi all’interno della città. Perché vivere una città, abitarla, significa abitare la propria storia, abitare ciò che è unico, ciò che ci appartiene e che ci ha reso chi siamo. Per questo motivo, le questioni urbanistiche e tecniche riguardo la grandezza o la piccolezza di una città risultano irrilevanti rispetto alla memoria di ciò che è stato quella città per noi, abitarla nei suoi luoghi che narrano qualcosa di noi, dal portone dove abbiamo ricevuto il primo bacio alla piazza dove da bambini passeggiavano con i nostri genitori. La città vive di questo abitare poetico, in cui il particolare è interpretato da noi che ci siamo dinanzi.
Bello, azzeccato…
Grz Matteo, pz