Luoghi interstiziali
Girando per il quartiere in cui risiedo, come anche nel centro città, mi sono fermato a riflettere su un comportamento delle generazioni un po’ più giovani della mia e di come camminano all’interno della città. Sono comitive mobili e liquide, tuttavia abbastanza chiuse, che non occupano uno spazio centrale o periferico, ma interstiziale. In istologia, il tessuto interstiziale è una forma di tessuto connettivo che si colloca fra gli elementi cellulari di un organo. Si tratta di un tessuto che collega le varie cellule e i vari organi fra di loro. Ora, se guardiamo a questi ragazzi e ragazze, al loro modo di passeggiare e di sostare all’interno della città, ci accorgiamo che non prendono gli spazi centrali, ma le fenditure di fra i palazzi, i luoghi un po’ più isolati, spazi in cui rimanere appartati. Si tratta, dunque, di luoghi interstiziali: strade chiuse, marciapiedi, scale di edifici, vuoti urbani fra le abitazioni. Anche in una piazza o in una simil-piazza, non si collocano mai al centro ma fra i palazzi che circondano la piazza stessa, sotto i balconi, in luoghi dove non possono essere visti, dove non possono entrare alla ribalta. Perché la simbolica del centro, come anche della periferia, fa rima con la simbolica della visibilità. Situarsi al centro di una piazza è mettersi in mostra, lasciare che gli altri vedano e, al tempo stesso, lasciare che gli altri possano avere un controllo sociale sulla comitiva. Adolescenti che iniziano a fumare o a bere, è difficile che vogliano farsi vedere o, peggio, scoprire dal mondo degli adulti, a cui appartengono anche i loro genitori. Per questo si collocano in luoghi invisibili o di difficile visibilità. Come anche se vogliono gridare o alzare comunque il volume della voce, non lo farebbero mai al centro di una piazza o in un luogo aperto, perché sanno di poter essere visti e giudicati in qualunque momento. La dimensione della visibilità viene delegata ai profili social, dal momento che lì scelgo cosa far vedere e come farmi vedere. Mentre nella dimensione spaziale, il controllo è più pressante e invadente. Per questo motivo, meglio collocarsi dentro gli interstizi, in luoghi invisibili e, al tempo stesso, non rintracciabili. Ma l’interstiziale può essere anche la chiave di lettura della contemporaneità del mondo giovanile, come della società nel suo generico. Perché negli interstizi c’è una identità che sfugge, un riconoscimento fatto fra pari, in cui nessuno può giudicare nessuno, dal momento che fanno tutti parte della nostra comitiva, segnati dallo stesso destino. Ed è proprio il luogo interstiziale che permette di dare forma liquida al gruppo stesso, di dare una forma che è dettata dal contenitore più che dal contenuto. Dove il contenitore è ciò che non permette agli altri di controllare e di farsi controllare. Continuamente sfuggenti ed estremamente adattabili, le giovani generazioni occupano spazi interstiziali, formando gruppi e lasciando che gli spazi stessi esprimano il loro essere gruppo, le loro esperienze informali. Tracce lasciate nei luoghi interstiziali ci dicono questo: graffiti, bottiglie rotte, muri bruciati o cicche di sigarette, rendono riconoscibile un luogo interstiziale. Luoghi, forme liquide, spazi che ci interrogano su cosa significhi, soprattutto per le nostre e i nostri giovani, abitare una città. Anche per tentare di capire cosa e come costruire, poi.