L’equilibrio sulla soglia
Dal 2015, il Dorothy Circus Gallery ha messo in atto un progetto di riqualificazione urbana della città di Roma. Il progetto consiste nella stesura di sei opere di street arts situate sia a Roma sei nel circondario. L’opera che prendiamo in considerazione oggi è quella dell’artista fiorentino ZED 1 dal titolo Equilibrio. L’opera è stata situata all’ingresso del Mercato Orazio dello Sbirro ad Ostia e raffigura due uomini con strumenti musicali in mano, seduti su una panchina, retta da un cono con la punta che poggia sul globo terrestre e intorno un mare colmo di squali. L’opera d’arte è un chiaro riferimento all’immigrazione e alla diversità globale e rimarca non solo il dialogo fra le diverse etnie e culture ma soprattutto la delicatezza e la fragilità dell’equilibrio delle relazioni e della diversità a cui tutti noi siamo esposti. I movimenti migratori, infatti, non hanno solo ripercussioni sulla popolazione di un determinato luogo o sulle percentuali di accoglienza o di clandestinità o criminalità. Il vero problema della globalizzazione è l’equilibrio stesso. Un equilibrio che non ha nulla a che vedere con la prudenza giustificata dalla nostra vigliaccheria o sottesa alle nostre paure ma alla postura che assumiamo dinanzi alla diversità. Infatti, se la situazione del mondo è quella dell’essere sopra una panchina sorretta da un piccolissimo punto di appoggio, la vera domanda che emerge è: con quale postura vivo? Perché basta davvero poco per rompere un equilibrio continuamente instabile, continuamente esposto alla rovina e che ci espone alla caduta e all’annegamento. E a suggerire la postura sono proprio gli strumenti musicali che i due uomini hanno nelle mani. Infatti, la musica è l’equilibrio per eccellenza, è il linguaggio che vive di un equilibrio fra gli strumenti, fra le note, fra le partiture. Un equilibrio armonico che vive nel continuo movimento, nella continuità delle note interrotte da silenzi. Un equilibrio che ci permette di rimanere in piedi solo nell’accordo con gli altri, soprattutto i più diversi. Il che non significa cedere al compromesso ma guardare la realtà con occhi nuovi, imparare a conoscere, a relativizzare le proprie convinzioni, a guardare il mondo intriso di pluralità e di umanità. Fino a riconoscere che, quando muore un immigrato in mare, ad annegare non sono numeri, ma tutta l’umanità, tutti noi. ed è curioso come quest’opera sia stata realizzata proprio dinanzi ad un mercato, ad un luogo dove le diversità di cibi e culture si intrecciano irrimediabilmente, un luogo che sta diventando sempre più terra di numeri piuttosto che di culture. Un luogo che ha una vocazione all’equilibrio in quanto intreccio, confronto, dialogo, pluralità, prospettive. Il luogo dove nel caos ritroviamo l’armonia.