Elisabetta II e le rappresentazioni del potere
L’8 settembre 2022, alle 15,10 viene data la notizia del decesso di Elisabetta II, regina di Inghilterra. La sovrana più longeva, dopo il Re Sole, si spegne nella dimora di Balmoral, in Scozia. La notizia rimbalza da una parte all’altra del pianeta e si appresta la camera ardente e i funerali della sovrana. Funerali che verranno seguiti, in diretta, da milioni e milioni di telespettatori. Un rito antico, con un cerimoniale severo, che non riguarda solo la famiglia reale, ma la stessa nazione d’Inghilterra e il Regno Unito nelle sue tradizioni e nelle sue celebrazioni. Ed è proprio su questo legame fra i rituale funebre e la città di Londra che vogliamo soffermare la nostra attenzione. Un rituale composto, studiato fin nei più piccoli particolari e che ha visto, oltre al rito funebre, il corteo per le vie della città. Un primo corteo dalla camera ardente all’abbazia di Westmister e un secondo corteo dall’abbazia fino al castello di Windsor, attraversando la città di Londra, dinanzi ad una folla di sudditi per il Mall e le vie principali della città. Entrambi i cortei sono stati caratterizzati da una fenomenologia dell’istituzionale, per cui i tempi, i ritmi, i riti, le parole, gli abiti, sono stati una manifestazione dell’istituzione monarchica. Un’istituzione storica che, come tutti i poteri, ha bisogno di una visibilità, di un ordine e di una gerarchia che esplichino le regole e le funzioni. In modo particolare dinanzi al feretro di una sovrana morta del cui corpo non abbiamo visto alcuna immagine, a dimostrare il non corrodimento del potere. Se il fisico è debilitato, se gli anni passano e la vecchiaia si presenta anche sul corpo dei più longevi sovrani, ciò che il potere non mostra è la morte dei suoi rappresentanti, perché significherebbe, contemporaneamente, anche la morte del potere. Invece, per rimanere sempre identico a se stesso, il potere ha bisogno di un passaggio repentino, nell’arco di un giorno, dalla regina Elisabetta al re Carlo, per conservare se stesso. E un metodo di conservazione del potere è proprio quello della manifestazione del potere anche dopo la morte dei suoi funzionari, al fine di conservare il potere stesso. Tutte le forme istituzionali durante il funerale della regina, allora, sono servite proprio a questa manifestazione e conservazione del potere. Un potere che si conserva per ordine, gerarchia, regole chiare e distinte, numeri di passi, posizioni e parole. Tutto impeccabile nella manifestazione del potere come forza e, in modo particolare, di forza armata. Dinanzi alla fragilità della morte, il feretro viene posto su un affusto di cannone e non su una semplice carrozza, e circondato dalle forze armate. Il potere civile, sembra ricordarci il funerale della regina, è sempre un potere armato, un potere che si serve delle forze dell’ordine e che si manifesta (solo) nelle forze dell’ordine. Una bara attorniata da militari, reparti di cavalleria, guardie reali e battaglioni di soldati che fanno da protagonisti per le strade della città. La rappresentazione del potere monarchico, come degli altri poteri civili, sembra ancora essere quello della forza militari più che di una nazione composita e molteplice. Chissà come sarebbe stato il funerale della regina se intorno al feretro, ci fossero stati rappresentanti del mondo del lavoro, della politica, dell’economia, degli emigrati e degli immigrati, delle scuole e delle università. Sarebbe stato un funerale più politico e meno istituzionale, forse. Sarebbe stato un funerale di popolo più che un funerale di Stato. Ma il potere ha ancora bisogno di manifestarsi per le strade della città, di rimarcare una divisione fra chi porta una divisa e più stare vicino agli emblemi del potere e chi rimane a guardare ai bordi delle strade. Rimane a guardare colei che, anche da morta, rimane sempre e comunque una rappresentazione del potere.
Per comprendere il sentimento che lega ancora i popoli dei paesi monarchici ai loro sovrani dobbiamo sforzarci di comprendere che cosa rappresentava il re prima della rivoluzione francese.
Il re era la misura del valore sociale e civile del suddito. Il suddito misurava la sua dignità in base alla distanza che lo separava dal sovrano.
Questo sentire comunitario e popolare ci e’ ormai totalmente estraneo e ne’ mai ne proveremo nostalgia perché superato e svuotato dal progresso civile.
C’e’ però qualcosa che non dovremmo perdere: il modo esclusivamente estetico dei segni con cui i popoli continuano a rappresentare il potere, reale e non.
I segni sono molto interessanti se sappiamo leggerli svuotati del loro valore simbolico, politico e rappresentativo.
I segni vanno osservati e metabolizzati per i loro rapporti cromatici, per l’accoppiamento di materiali, per il design, per le forme, indipendentemente dall’insopportabile potere che rappresentano e dai contenuti non condivisibili che li hanno generati.
Potremmo dire che dietro ogni potere c’e’ un arte che, per quanto servile, non puo’ essere giudicata con il metodo storiografico ma con l’occhio stimolato del produttore artistico, occhio che discerne nella costruzione dei segni le nuove vie puramente artistiche, sperimentali, da intraprendere.
Il potere passerà di mano, la regina sara’ sepolta ma l’arte genererà altra arte.
Grazie Matteo per metterci in moto, ogni domenica, riflessioni.