La tavola fa la differenza

La tavola fa la differenza

18 Gennaio 2025 0 di Makovec

Is 62,1-5; Sal 96; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11

Diamanti di Ferzan Ozpetek, seppur parli del genio femminile legato al costume, al tessere, al ripercorrere non solo le trame di un vestito ma anche le trame esistenziali dei personaggi, ha come punto di inizio e punto di culmine la tavola. Elemento spesso presente nei film di Ozpetek, ci permette di rileggere in maniera simbolica la liturgia della Parola di oggi. La tavola su cui si prepara il film, su cui il regista presenta il suo film attorniato dalle attrici a cui affida a ciascuna una parte, come anche la tavola che diviene celebrazione rituale della fondazione dell’azienda. Persone che si incontrano intorno alla tavola e che festeggiano la loro storia, le loro storie differente e disparate, eppure meravigliosamente condivise. Per usare una espressione cara a don Tonino Bello, potremmo parlare di una convivialità delle differenze, in cui ciò che conta sono i vissuti delle persone. vissuti non sempre allegri e non sempre facili, come dimostrano anche alcune storie del film del film di Ozpetek. Eppure storie che si risolvono, risvoltano, coinvolgono altre storie non perché ci si perdi nelle varie lamentele sulla vita ma perché sono condivise intorno alla stessa trama di bellezza. Perché è la bellezza ciò che ci permette di cogliere, nelle nostre storie e nella condivisione delle nostre storie, quell’ordito di salvezza che non ci vede più soli e abbandonati, ma sposati dal Signore stesso. Il profeta Isaia ci richiama ad un annuncio di gioia e di libertà, contro ogni possibile forma di abbandono e di solitudine, contro ogni possibile lamentela nei confronti della propria vita. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. La nostra vita è chiamata a questa bellezza ed anche quando ci sono problemi e difficoltà, non si risolvono mai attraverso la lamentela, la mormorazione, il rancore, la bruttezza. Non mi sembra che ci siano persone che hanno risolto i loro problemi lamentandosi continuamente. Ma i problemi si risolvono quando ci sentiamo nutriti e corroborati dalla bellezza che non è solo una perfezione delle forme, ma è l’energia divina che ci viene incontro, la luce di Dio che illumina, lo splendore e lo spessore della vita stessa. Un Dio che non ci lascia soli, che si rivela nella differenza, nella diversità delle opinioni e che, nella diversità manifesta la sua Chiesa. La bellezza inizia quando c’è differenza, quando quelle differenze diventano narrazioni divergenti e ci fanno comprendere che la Chiesa non è un blocco statico, identico, conformista e omologante. Tant’è che Paolo ci racconta di una manifestazione particolare dello Spirito che viene data a ciascuno. Non solo ad alcuni privilegiati, ma a ciascuno. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E riusciamo a scorgere quella manifestazione dello Spirito in noi solo e soltanto nella gioia in cui ci rendiamo conto che esistiamo a questo mondo, che sappiamo e sappiamo fare delle cose, che ci è stato dato un dono. Altrimenti ci autocondanniamo alla mediocrità, al piattume, al servilismo che fa nascere lamentele. Invece la manifestazione dello Spirito è gioia e festa, come ci racconta l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. L’inizio dei segni di Gesù, la manifestazione della gloria di Dio, lo splendore della sua bontà e il segno sponsale della sua alleanza consiste nella prosecuzione di una festa, a tavola. Una festa comunitaria, una festa che è rito e celebrazione, una festa che aggrega, una festa che coltiva la gioia e l’ebbrezza. Una festa che ha come fondamento il vino nuovo, il segno di una alleanza nuova, il segno di una abbondanza quasi spropositata. Non è la logica del dovere, dell’imposizione, dell’omologazione e dell’ubbidienza cieca, ma della festa che rinsalda i legami, che è condivisione delle storie, convivialità delle differenze. Non una ubriacatura individualista ma tessitura comunitaria in cui tavola è preparazione e celebrazione, epifania e manifestazione di Dio, gioia e allegria per tutti noi, annuncio delle meraviglie del Signore in un canto nuovo. Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore, uomini di tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il suo nome.