La stagione turistica e la resistenza della città
Per molte città, il periodo estivo o il periodo invernale, è identificato con la stagione turistica. Una vera e propria stagione della città in cui non cambia la conformazione, quanto la fruizione degli spazi, dei luoghi, delle opzioni che la città stessa può offrire. Si tratta, di una stagione in quanto riflette il ciclo vitale della città stessa, un momento annuale tipico di un periodo temporale quale può essere l’estate per alcune città o l’inverno per altre, in cui il flusso di persone che visitano o attraversano la città cambia rispetto ad altri periodi dell’anno. Città marittime, così, vivono la loro stagione turistica d’estate quando la relazione della città con il mare si fa più distesa e meno tormentata. Città montuose, invece, vivono la stagione turistica durante il periodo invernale nella fruizione degli stabilimenti sciistici, oppure nei periodi estivi approfittando del fresco e degli scorci che offrono le montagne. A prescindere dal periodo, dunque, ciò che ci sembra più importante è che la città stessa sviluppi una sua propria stagione che non si identifica con il ciclo stagionale della natura, ma che viene creata e prodotta per e attraverso l’afflusso turistico. Paradossalmente, allora, possiamo chiamare stagione più il periodo dedicato all’afflusso turistico che il ciclo delle trasformazioni naturali dell’ambiente. Perché, in fin dei conti, l’importanza viene posta sull’afflusso turistico più che sul ciclo naturale. Questa discrasia ci mette dinanzi a città che tessono con il territorio un rapporto del tutto differente rispetto alle stagioni naturali come anche rispetto alla morfologia e, infine, rispetto alla cultura locale. Esempi di questa frattura fra città e territorio per l’incremento della stagione turistica sono i lidi balneari costruiti praticamente dovunque, attivi per metà dell’anno, la neve finta sparata d’inverno per permettere agli stabilimenti sciistici di funzionare, la gentrificazione dei centri storici, la cultura locale scambiata per souvenirs da portare via. La stagione turistica, insomma, apre all’interpretazione della città attraverso il turismo e non il contrario. Per cui un turista, quando si dirige in una città, non incontra altro che un sistema di ricezione dei suoi bisogni, una patina di domanda e offerta tesa alla soddisfazione e all’incremento della soddisfazione turistica. In questo senso, un turista rischia di non incontrare mai la cultura del luogo, di non comprendere mai la vita degli abitanti di una città in relazione alla loro storia, alla loro cultura e alla loro prospettiva, fondamentalmente perché non incontrano mai le persone del luogo, ma solo tour e menù turistici. Esempio di una svolta a questa standardizzazione ricettiva del turismo ci viene dalla città di Bari e da un movimento informale creatosi in una via del centro storico. In una delle sue vie del centro storico, appena vicine al Castello, la città di Bari offre la possibilità di incontrare signore del luogo che producono della pasta fresca fatta in casa. Un qualcosa di banale e quotidiano per chi abita in quei territori, ma per i turisti si tratta di un incontro con le persone del luogo, un incontro informale, di dialetti, modi di preparare la pasta, di farla essiccare, che attrae non solo per la gentilezza, quanto per la possibilità di incontrare per davvero persone che abitano un territorio e che mettono a disposizione il loro sapere e la loro cultura alimentare, tipicamente locale. Così, in una resistenza informale al turismo di massa, ecco che la città crea un incontro fra persone e culture che ci permette di riconoscere per davvero una città per la sua cultura e non solo per gli standard turistici.
Vero Matteo.
La citta’ turistica mostra una finta citta’. Finta come sono finti i nostri, vissuti, salotti quando attendiamo ospiti e vengono rimessi a lucido.