La secolarizzazione delle processioni religiose
Tornando sulla dimensione del sacro come spazio del nulla da cui far nascere una relazione cultuale con la divinità e culturale nella città, vogliamo affrontare il tema delle tradizioni e dei riti in relazione alla città. La secolarizzazione, nelle sue differenti forme, è un fenomeno storico e sociale che da una parte sostituisce i riti religiosi con altre forme rituali, mentre dall’altra propugna la scomparsa stessa dei riti, vissuti come un retaggio del passato. In realtà, il termine stesso secolarizzazione è un termine ambiguo, in quanto ci fa pensare che i riti non vivano nel secolo e del secolo in cui vengono celebrati. Nel suo libro Identità a confronto. Europa e America fra secolarizzazione e risveglio religioso, Michele Lucivero mette in risalto come il fenomeno della secolarizzazione si fondi sulla credenza che la religione sarebbe stata sempre meno rilevante per l’essere umano. Tuttavia, Lucivero critica questo paradigma di irrilevanza del fenomeno religioso per il soggetto contemporaneo e, in modo particolare, per la collettività. Semplicemente, nella secolarizzazione, i riti e le forme religiose cambiano, legandosi sempre più alla dimensione sociale e politica, nel bene come nel male. Tuttavia, ciò che ci preme affrontare è come il fenomeno della secolarizzazione, nella pluralità delle sue forme, riguardi anche le tradizioni religiose all’interno delle comunità urbane. Se in molte regioni europee assistiamo ad una scomparsa dei riti religiosi, in altre zone questi riti sembrano sopravvivere in maniera paradossale. Se da una parte processioni, feste religiose, tradizioni cittadine si rivelano essere una forma di resistenza alla secolarizzazione, dall’altra esse sono già secolarizzate. Se pensiamo alle processioni, ad esempio, esse sono ancora una forma di devozione e di pietà popolare ma, al tempo stesso, sono svolte con paramenti, forme di preghiera, musiche e statue così antichi da essere fuori dal tempo, fuori dal secolo. Ma se questo essere fuori dal secolo dovrebbe garantire una forma di salvaguardia dalla secolarizzazione, in realtà è proprio il gioco della secolarizzazione stessa, la quale rende commerciale e commerciabile un prodotto che non si ritrova facilmente, come può essere un rito. È come avere un quadro bello e di valore, ma soffermarci a guardare e ad apprezzare la cornice che, nel caso delle processioni, si rivela essere la dimensione pubblica del rito. Detto in altri termini, i riti religiosi, in modo particolare quelli che richiamano, con la loro solennità, a canoni estetici del Seicento e del Settecento, sono già rituali che vivono di secolarizzazione, di un marchio specifico, di un merchandising che crea turismo e visibilità. Per soffermarci solo all’area pugliese, anche le processioni e le feste patronali rientrano nel pacchetto turistico del we are in Puglia o la bella vita in Puglia o non venite in Puglia. Un marchio turistico, insomma, frutto della secolarizzazione che non permette di vivere il momento attuale, nel secolo presente, ma crea occasioni di turismo attraverso il rito pubblico e collettivo. Forme di risveglio religioso, in questi termini, potrebbero essere nella rivalorizzazione del legame fra culto e cultura di cui abbiamo già parlato. Reinterpretare la festa patronale come opera collettiva, come impegno per la sfera pubblica, con opere che segnino la sfera sociale e creino non solo condizioni di benessere turistico ma di giustizia. Rinsaldando l’antico binomio fra cultura locale e sfera pubblica, elementi che la secolarizzazione cerca di distanziare sempre più.
Credo veramente che sia quasi un’attrazione turistica e che in alcuni casi sia svuotata del suo originale significato,ma va comunque mantenuta cercando di ricreare il contatto fra cultura e la religione