La città e le panchine
Nel 1972, l’architetto Ugo La Pietra presenta una serie di riflessioni sulle panchine di Milano. L’idea della panchina come arredo urbano risente di una complessa ibridazione fra lo spazio pubblico e lo spazio privato. L’idea di La Pietra è quella di progettare una seduta in cui il cittadino possa sentirsi a casa proprio in uno spazio che non è casa propria. Il sedersi, infatti, non è solo un gesto indicante prima di tutto la sosta. Questo particolare della sosta è ciò che interessa particolarmente La Pietra come anche la riflessione sulle panchine e sulle sedute in generale che vengono progettate per le nostre piazze o strade. Innanzitutto, per quanto riguarda la differenza fra spazio privato e spazio pubblico e, in secondo luogo, per quanto riguarda la percezione stessa della città, stando seduti. La panchina, infatti, non è semplicemente un accessorio o un arredo urbano ma è il simbolo della resistenza alla frenesia urbana che produce una dicotomia fra lo spazio pubblico e lo spazio privato. La vita in città subisce sempre più processi di accelerazione, per cui abbiamo sempre più bisogno di usufruire dello spazio pubblico in termini di infrastrutture piuttosto che di luoghi. In altre parole diviene sempre più congeniale una metro che una piazza, dal momento che la metro ci occorre per dirigerci da casa ad un posto di lavoro. E fino a quando si tratta della metro è ancora un mezzo di trasporto pubblico, senza addentrarci nell’utilizzo dell’automobile come simbolo di un mezzo privato che possiede uno spazio pubblico. La frenesia urbana, dunque, produce sempre più una frattura fra lo spazio pubblico percepito più che altro come infrastrutture e uno spazio privato dove poter sostare e trovare riposo, un rifugio dalla frenesia dello spazio pubblico. E più aumenta il ritmo della vita, più aumenta lo spessore che divide lo spazio privato da quello pubblico. Ecco, allora, a cosa serve una panchina. Non serve semplicemente ad attendere la metro ma ad impossessarsi dello spazio pubblico, a trasformarlo nuovamente in un luogo più che in una strada. Ecco l’intenzione dell’architetto Ugo La Pietra nel raccontare la storia delle panchine attraverso le foto per le piazze di Milano. Perché la panchina diviene sempre più il luogo dove poter percepire la realtà dello spazio pubblico attraverso lo sguardo del riposo. Sedersi su una panchina in un parco o in una piazza significa sia, contemporaneamente, riprendersi un po’ di tempo e un po’ di spazio. Prendersi un po’ di tempo in quanto c’è una scelta di dirigersi in una piazza piuttosto che rimanere a casa, riprendersi uno spazio in quanto portiamo un po’ di spazio privato dentro il pubblico, trasformando lo spazio pubblico in un luogo da cui poter guardare la città. Allora, guardare la città da una panchina non diviene semplicemente una nuova visuale di cose mai viste prima, ma un vero e proprio rovesciamento di prospettiva. Perché significa poter guardare a se stessi in un luogo, facendo diventare uno spazio anonimo un luogo artistico, perché l’arte è ciò che ci permette di rovesciare la prospettiva sulla realtà, rivelandone lo spessore. E trarre un respiro di sollievo, perché il mondo non finisce se ci fermiamo a contemplarlo.
La panchina ..è poltrona per ammirare lo spettacolo…intorno…ma a volte sostegno per un vecchio che sfinito si lascia cadere …è letto per chi un letto nn ha…e che sollevandolo dal terreno durante il sonno lo introduce nel dormiveglia …o nel sogno…