La città del quarto d’ora
La città dei quindici minuti è stata una proposta politica messa in campo dalla sindaca parigina Anne Hidalgo. Il progetto consiste nel raggiungere tutto ciò che occorre per la vita quotidiana in un quarto d’ora, potendo raggiungere tutto a piedi e rimanendo nei paraggi di casa. Per la spesa quotidiana, per la palestra, per prendere un caffè, per curare il proprio benessere servirà solo muoversi nell’area temporale di quindici minuti. Oltre lo slogan estremamente interessante, la possibilità di vivere in una città in cui avere tutto nel raggio di quindici minuti risente di una grande complessità di agenti e di interventi sul territorio. Il primo problema che viene affrontato, infatti, è quello della congestione del traffico e della mobilità su mezzi di trasporto pubblici o privati. Il secondo problema, di conseguenza, è legato alla “mobilità dolce” o “mobilità sostenibile”, ovvero all’utilizzo sempre minore dell’automobile dal momento che è possibile raggiungere tutto a piedi. Il terzo elemento, prettamente economico, riguarda il favorire i piccoli negozi e le piccole imprese, ingurgitate, al giorno d’oggi, dalle grandi catene dei negozi e degli ipermercati. Favorire, per questo, l’iniziativa privata dei giovani che cercano di mettere su una piccola impresa o aprire un piccolo negozio per le più disparate attività quotidiane. Inoltre, la soluzione dell’apertura dei piccoli negozi e della spesa sotto casa, aumenta il contatto e la relazione personale fra cliente e rivenditore, innescando rapporti di possibile amicizia e cordialità, o perlomeno venir fuori dalla sfera dell’anonimato e dell’impersonale. A tutto questo si aggiunge anche la crisi pandemica del Covid-19, la quale ha imposto delle limitazioni all’aggregazione massificante e funzionale. Durante il lockdown, una delle principali limitazioni è stata proprio quella di non allontanarsi dalla propria abitazione oltre una determinata distanza. Con la città dei quindici minuti, probabilmente, avremmo vissuto molto meno il trauma di non spostarsi dal proprio quartiere. In questa prospettiva, allora, sarebbero rivalutati molto di più i quartieri e le relazioni fra abitanti dello stesso quartiere e dello stesso condominio, uno dei maggiori punti deboli delle medie e grandi città di oggi. La città di un quarto d’ora, infatti, ha come idea di fondo non solo quella della riqualificazione urbana di un quartiere o delle piccole e medie imprese o della vendita al dettaglio o della mobilità sostenibile, che sono conseguenze e benefici ma una vera e propria riscoperta dell’abitare in una città. Nell’epoca del tempo stringente come quella che stiamo vivendo, la città del quarto d’ora non implica una lotta contro il tempo, ma una nuova percezione di chi siamo all’interno di un luogo, dell’abitare inteso come radicamento e cambiamento del tessuto locale in relazione al globale. L’idea del riconoscimento di se stessi e degli altri, la possibilità di tessere relazioni di buon vicinato, la capacità di innescare trasformazioni sociali ed economiche nella realtà in cui ci si trova contribuiscono non solo la benessere collettivo ma anche al benessere di se stessi. La città di un quarto d’ora, allora, sarebbe una buona occasione per sfuggire all’anonimato che sempre più caratterizza le grandi città, un’occasione per ritornare ad essere non più solo clienti del mercato globale, ma cittadini glocali.
Caro Matteo, grazie per la dovizie di cose interessanti che scrivi.
Sembra quasi un sogno ritornare al radicamento e alla cordialità dei cortili che caratterizzava in positivo un vicinato e favoriva le dimensioni della cura senza gonfiare l’ego e forse integrava, compensava ruoli.
Credo, però, ci sia da stare attenti in questo periodo di paure, muri e chiusure che tutto ciò, invece di ritessere i rapporti umani, non riproponga quel provincialismo ripiegato sul noi che poi ha fatto scoppiare questo sistema e spopolato i borghi. Vorrei riuscire a sperare che sapremo trovare il modo di recuperare i rapporti di prossimità portandoci dietro l’internazionalizzazione🌈