La città del 2030
Dopo la pubblicazione dell’Agenda 2030 da parte dell’ONU, ASviS e Urban@it hanno stilato una Agenda Urbana 2030 in cui sono contenuti gli obiettivi e le proposte da sviscerare, a livello nazionale, sull’obiettivo 11 dell’Agenda Onu. Si tratta, insomma, di declinare l’obiettivo della sostenibilità ambientale tenendo conto della complessità del tessuto italiano, delle città metropolitane e dei singoli comuni. L’Agenda Urbana, dunque, si presenta come un insieme di riflessioni pratiche sullo stato dell’arte, su ciò che è stato già fatto, sulle criticità, come anche su ciò che si potrebbe fare e ciò che c’è ancora da fare. Tuttavia, è interessante notare il primo punto di riflessione dell’Agenda Urbana, ovvero la mancanza, sul territorio nazionale, di una visione d’insieme delle città. Ci sono state molte iniziative, soprattutto a favore delle periferie, le quali hanno dato un’impronta significativa agli investimenti del Paese, come anche alla riqualificazione delle zone più degradate delle città, ma manca ancora una visione d’insieme, che ci permetta di guardare alla complessità dei fenomeni urbani, allo sviluppo delle città e alla loro espansione. Non si tratta, quindi, solo di rispondere alla domanda sul cosa fare, ma chiederci, in prima istanza: dove vogliamo andare? La crisi epidemica sembra abbia fatto da ponte fra la chiusura dell’Agenda 2021 dell’ONU e l’apertura dell’Agenda 2030, un ponte che abbiamo visto costruirsi e distruggersi all’interno delle città, dei singoli Comuni. Proprio nelle nostre città si giocheranno le maggiori sfide sulle sostenibilità ambientale, sulla resilienza delle strutture, sull’impatto delle costruzioni sul suolo e sulla qualità dell’aria e dell’acqua, come anche della povertà, dell’educazione, dell’impiego. Il campo da gioco sembra essere la città, ecco perché risulta ancora una situazione grave non aver trovato una politica unanime per le città, iniziando dalla loro definizione sociologica. Oggi, abbiamo strumenti di misura per quantificare la densità abitativa di una città, ma occorre ancora un’idea di città, un’idea di che cosa significhi vivere all’interno delle città. Stiamo assistendo, lo sappiamo, ad una rapida urbanizzazione, tuttavia, non altrettanto rapida sembra essere la consapevolezza di vivere in città, come anche chiedersi che cosa significhi vivere in questa città. A mio parere, dunque, l’abitare nella città ha bisogno di una domanda che spalanchi ad una visione d’insieme. Una domanda di città che diventi anche una domanda sulla città. In questo modo potremo da una parte evitare il fenomeno della dispersione, dall’altra evitare la ghettizzazione delle persone, dall’altra ancora uscire dall’anonimato che caratterizza soprattutto le grandi periferie. L’Agenda Urbana, fin dalle prime battute, analizza la situazione affermando che esistono tre modi, oggi, di guardare alla città: l’approccio amministrativo, morfologico e funzionale. Tre approcci, uno che guarda alla politica, uno che guarda al territorio e uno che guarda all’influenza della città all’interno del territorio. Tre approcci che si rivelano essere sempre parziali, in quanto cercano di offrire risposte a bisogni, ma non a domande, soluzioni ad emergenze ma non visioni complessive scaturenti da un’idea. Per l’Agenda Urbana, allora, occorre sviluppare una domanda di senso all’interno della città, una domanda integrale che spinga all’abitare in città, alla consapevolezza dell’essere cittadino del mondo (urbano). In questo orizzonte, le città potranno non solo crescere ma umanizzarsi, nei prossimi anni, almeno fino al 2030.