In mezzo a noi
At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1Gv 2,1-5a; Lc 24,35-48
Oggi, per antichissima tradizione, nella seconda domenica dopo Pasqua, siamo soliti recarci presso il Tempio di Santa Maria di Giano per la fiera campestre. Si tratta di una festività che interseca elementi cristiani e pagani. Già dal nome di Santa Maria di Giano, ci accorgiamo di come l’accostamento di elementi cristiani e pagani sia un elemento eccezionale per questo nostro territorio. Si tratta di una festa in cui, in modo particolare, ci ricordiamo di Maria come la porta attraverso cui il Signore Gesù è venuto nel mondo. Quel Signore Gesù che è il Risorto, quel Signore che è morto, sepolto e risorto, è colui che ancora oggi annunciamo in questa storia. Una storia che racconta le nostre storie, che racconta del nostro popolo, che racconta di un Dio che cammina con il suo popolo e che partecipa del suo stesso popolo. Rinnovare le tradizioni popolari, infatti, non significa semplicemente tornare in una dimensione primitiva, ma scendere a contatto con la natura e la cultura di un popolo. Se la globalizzazione sta spazzando via le varie tradizioni popolari, i vari usi e costumi locali, ci sono ancora gruppi, movimenti, idee e pensatori che custodiscono, salvaguardano e, soprattutto, rielaborano la Tradizione, ciò che ci viene consegnato. È questo ciò che ha fatto Pietro quando, nel suo discorso alla popolazione di Gerusalemme, ha affermato che quel Gesù che era stato crocifisso per ignoranza, è quello stesso Gesù che il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ha sostenuto e da cui è stato generato. Pietro racconta la storia di Gesù ricollocandola in un contesto di popolo, nella storia del popolo stesso, nella interpretazione di ciò che è avvenuto. Quella stessa storia che non ci racconta solo di un passato che non c’è più ma che ripercorre il senso del legame fra noi e Dio stesso. Il rischio di legare la tradizione ad una semplice ripetizione annuale di eventi è di perderne il senso e il significato che avevano ieri come oggi. Un significato che vede legate le pratiche antiche ad una relazione con il Cristo, oggi. Pratiche come il girare intorno all’altare ci spingono a chiedere: Gesù è ancora il centro della mia vita? Intorno a chi ruota la mia vita? Per chi voglio pregare, oggi? Altrimenti rischia di diventare tutto un grande spettacolo che non dice più del legame fra noi e Dio in Cristo Gesù, del nostro legame con il Paraclito, come ci ha ricordato Giovanni. Perché è questo il senso da salvaguardare, il modo attraverso cui ha senso ancora oggi rivivere dei momenti della nostra tradizione. Se non ci fosse questo, se non pensassimo a questo, se non pregassimo per quelle persone che si rivelano come presenza del Signore Risorto nella mia vita, allora tutto sarebbe inutile. Invece, il motivo per cui noi, ancora oggi, rinnoviamo le nostre tradizioni e per cui le tradizioni esercitano ancora un fascino è il legame con la trascendenza, il legame con il centro della nostra vita, con colui che ci fa vivere bene le nostre giornate, che ci fa fare pace con noi stessi e con le altre persone. Il legame con quel Cristo che è in mezzo a noi, con quel Cristo che fa sintesi della mia vita e che mi fa dire che non sono io il centro di tutto. Perché se fossi io il centro della mia vita, allora tutti gli altri sarebbe solo un accessorio al mio benessere e mi limiterei a cogliere degli sprazzi o dei cocci della mia storia, perso fra tanti e tanti impegni. Invece, la presenza del Cristo risorto è nello stare in mezzo ai suoi discepoli. Dove l’essere in mezzo da una parte dice che egli è il centro della vita dei discepoli, mentre dall’altra parte che egli si confonde fra i suoi discepoli. Come una persona che è in mezzo a tante altre persone e che non si fa notare, eppure si riesce a scorgere, così è il Signore Risorto. Colui che, per far comprendere ai suoi discepoli che egli è in mezzo a loro e non è solo un fantasma, inizia a mangiare con loro. Un Gesù che si ferma con i suoi discepoli, che li aiuta a rileggere le Scritture come a rileggere la vita. Questo è il Cristo risorto che ancora vive nelle tradizioni popolari e che ha ancora senso celebrare nelle tradizioni locali. Un Cristo preannunciato, un Cristo che si fa scorgere, un Cristo che si sofferma, un Cristo che ha pazienza e che è, ancora oggi, in mezzo a noi.