Il senso delle donne per la città
L’ultima fatica letteraria di Elena Granata è Il senso delle donne per la città. Abbiamo avuto l’occasione di incontrare la prof.ssa Granata online presso le Vecchie Segherie Mastrototaro di Bisceglie per farci raccontare un po’ questo libro, questa curiosità, ingegno e apertura delle donne nei confronti della città. L’assunto principale di Elena Granata è che le donne ha fatto sempre molta difficoltà a partecipare alla progettualità della città, per non parlare poi in termini di programmabilità e di costruzione della città stessa. La progettualità della città è sempre, o quasi sempre, stato un lavoro da uomini, da maschi, mentre le donne si sono sempre occupate dell’allestimento dello spazio privato, della casa, del focolare domestico. Se gli uomini hanno quindi occupato lo spazio pubblico, le donne sono state relegate ad uno spazio privato e, se per passione o per meriti o per studi, sono riuscite ad entrare nello spazio pubblico, hanno avuto il bisogno di piegarsi alla visione maschile, al linguaggio maschile, alla visione maschile della città. Ed è da questa esclusione rispetto allo spazio pubblico, secondo Granata, che le donne hanno sviluppato un lessico, uno sguardo, una visione differente della città. Non una inclinazione naturale ma una angolatura differente ha permesso e può permettere alle donne oggi di offrire un loro personale contributo alla visione della città. un lessico nuovo che completa quello maschile, dove accanto alla parola manutenzione viene messa la cura, tipico del femminile. Ma, ancora, accanto ai grandi sistemi politici e urbani, offrire uno sguardo attento al quotidiano, alle piccole cose, alle strategie da mettere in atto attraverso un’ingegnosità differente che appartiene, nello specifico, alle donne. Un ingegno pratico e quotidiano fatto anche di come salire o scendere da un marciapiede o da un autobus con la carrozzina o quando si è incinta. Piccoli accorgimenti che rendono più vivibile la città e che ci possono aiutare anche a chiederci come vivere nelle nostre città. Infatti, le piccole strategie messe in atto oggi tendono più ad allontanare le persone che ad avvicinarle, più a costruire città per una determinata fascia sociale e borghese più che per una misura umana e personale. Si costruiscono città per una fascia media socialmente e temporalmente, per allontanare barboni, giovani, tossicodipendenti. Impressionanti sono le citazioni delle differenti luci di vari colori che non permettono alle persone affette da tossicodipendenza di trovare la vena per iniettarsi delle sostanze, oppure alcune luci che mettono in risalto l’acne in modo che i giovani non vadano in determinati posti nella città, oppure la più famosa e pervasiva architettura ostativa che non permette alle persone di appoggiarsi sui marciapiedi, di sdraiarsi sulle panchine, di fermarsi dinanzi alle vetrine dei negozi. E poi una città che inizia non dalla burocrazia ma dalle storie delle persone dal raccontare la tua giornata. Questo è ciò che crea lo spazio urbano, che ci permette di pensare lo spazio urbano, non solo dal punto di vista della femminilità ora, ma dal punto di vista della persona. Uno spazio urbano, dunque, che nasce dai racconti, come nel libro si intreccia la biografia di Elena Granata, la storia di tante architette e urbaniste, giornaliste e attiviste che si sono interessante alla città. Perché è dal racconto delle storie, delle nostre storie che le città diventano luoghi abitabili, luoghi in cui poter vivere meglio, in cui poter leggere le nostre relazioni e non solo i servizi che vengono offerti e presentati. Oltre i mandati tecnici e amministrativi, quando la città diventa un luogo abitabile attraverso la nostra storia, diviene anche un luogo educante, un luogo che apre al senso non solo della città ma del nostro stesso vivere, della nostra stessa vocazione alla vita e della vita, che si gioca ancora oggi nelle città che scegliamo di abitare.