Il paesaggio mostruoso
Il paesaggio è qualcosa di mostruoso. Etimologicamente, monstrum contiene in sé due accezioni. La prima è ciò che si mostra a noi, l’altra è monere, ovvero porre attenzione. Interpretazione affascinante offertaci da Annalisa Metta nel suo saggio Il paesaggio è un mostro. Città selvatiche e nature ibride. Nel nostro immaginario mitologico o fiabesco, o fantascienfico, il mostro è un idealtipo che ci si mostra e, al tempo stesso, ci mette in guardia. È l’imprevedibile, l’anomalo, ciò che non rientra nella consuetudine e nell’abitudinario, ciò che si pone a metà fra umano e non umano, fra natura e cultura. Minotauri, fauni, idre, sirene, arpie, centauri, tutti i mostri sono, in qualche maniera, situati a metà fra l’umano e il non umano, fra ciò che conosciamo di noi e ciò che non conosciamo e che, tuttavia, ci appartiene. Il mostro, infatti, non è solo una pura invenzione fantastica ma è l’ingovernabile che ci abita, quella parte di umanità che sfugge a tutte le considerazioni e a tutti i calcoli razionali. Se questo vale per ciò che abbiamo dentro, per la nostra stessa condizione umana, vale anche per i paesaggi e le città. D’altronde le città e i paesaggi altro non sono che formazioni, proiezioni, condizioni del nostro stato d’animo, del come vediamo la realtà, della narrazione storica e situata che ci caratterizza. Il paesaggio è un mostro quando sa infrangere le partizioni del controllo, superare l’alterità tra urbano e selvatico, fra natura e cultura, sovvertire l’identità appiattita dell’habitat umano, per introdurci in una nuova concezione e conoscenza di noi stessi. Perché, ad un certo punto della giornata, un paesaggio ci emoziona? Perché ci soffermiamo ore a guardare un paesaggio o sentiamo il bisogno di fotografarlo e di condividerlo con gli altri? Perché ci aggiungiamo ulteriori suoni, effetti, parole che possano comunicare agli altri come siamo? Perché il paesaggio si mostra e ci mostra come stiamo, in quale situazione ci troviamo, in quale stato d’animo e con quale tonalità emotiva incontriamo il mondo. Per questo motivo, inoltre, il paesaggio è un mostro, capace di annunciare, oltre il discorso razionale, la nostra modalità d’essere, quella sfumatura emotiva oltre l’efficienza e la funzionalità. Le città, dunque, sono anche questo, sono paesaggi mostruosi, che rivelano a noi paesaggio inediti o che sono contenute esse stesse in un paesaggio, in una prospettiva insolita. Il paesaggio, allora, non è solo l’armonia delle forme che vediamo, ma una certa fusione di orizzonti in cui viviamo una esperienza ibrida fra il conosciuto e il riconoscimento di noi stessi, fra ciò che sappiamo e ciò che ancora non riusciamo a cogliere, fra la certezza e l’abisso di un modo differente di scorgere le cose, di intra-vedere la realtà di noi stessi. Per questo motivo, il paesaggio è un mostro ibrido, come ciascuno di noi.