I fuochi d’artificio e la scomparsa dei riti di inizio anno
A poche ore dall’inizio del nuovo anno, scorrendo i social, abbiamo potuto notare le varie foto di devastazione e degrado delle città, causate dai fuochi pirotecnici. La ritualità del giro completo della terra intorno al sole esige che si sparino dei fuochi d’artificio per salutare l’anno vecchio e dare il benvenuto al nuovo. Eppure, nelle nostre città, lo sparo dei fuochi d’artificio nella notte di Capodanno sembra stia cambiando di segno. Ogni rito, infatti, presuppone dei tempi precisi per delle azioni, anzi un rito è caratterizzato proprio per questa relazione fra azione e tempo, un tempo per una azione e ogni azione con i suoi tempi. La ritualità che comprende tutti i nostri gesti sia più solenni che quotidiani è in questo legame fra tempi e azioni. Ebbene, la ritualità dei fuochi d’artificio di fine anno sembra continuamente infrangere questa relazionalità fra tempi e azioni. Nelle città, lo sparare i fuochi d’artificio per salutare l’anno passato sembra soffrire di una costante anticipazione e progressiva anticipazione, quasi come se si avverta il bisogno di sparare i fuochi d’artificio prima della fine dell’anno. Potrebbe essere certamente uno dei sintomi di un’epoca che disimpara l’attesa e che vive dell’immediatezza delle cose, per cui non si aspetta più, non si riesce neanche ad attendere la fine dell’anno. Ma questa mancanza di attesa e incapacità di attendere ci apre ad una riflessione non solo sull’istante o sul presente come neanche solo e soltanto sul contingente, ma sull’immediato. Etimologicamente, immediato ha a che vedere con il senza mediazione, dove la mediazione, nel nostro caso, è il tempo. L’immediato temporale ovvero senza la mediazione del tempo, consumando tutto e subito, senza un significato e, quindi, senza una ritualità. Schiacciare lo spessore significante del tempo in un atto che non ha più un rito alle spalle ma che diviene sinonimo di qualcos’altro. La topologia del presente di Byung-Chul Han con il suo La scomparsa dei riti, diviene la lente attraverso cui leggere questa anticipazione dei fuochi d’artificio nelle nostre città, durante la fine dell’anno. Ciò che conta, direbbe Byung-Chul Han, è il narcisismo dell’Io che ha bisogno di quel tempo non per ritualizzarlo ma come occasione per esprimere il suo potenziale distruttivo. La fine dell’anno, allora, non assume più i contorni di un rito collettivo ma di un potere devastante dell’io che, negli altri giorni dell’anno, deve trattenersi, contenersi, frustrarsi nella sua impossibilità di alfabetizzare ciò che porta dentro. È come se, alla fine dell’anno, ogni persona potesse sfogare tutto quello che si porta dentro in un grande urlo di tante individualità che manifestano il disincanto del mondo, la sterilità di ogni futuro, la paura della propria incapacità di vivere ma solo di sopravvivere. I fuochi d’artificio non più rito collettivo ma occasione per rimarcare il vuoto che ci portiamo dentro e che emerge quando tiriamo le somme alla fine dell’anno. Vuoto che si riverbera nelle città, vandalizzate, fatte esplodere, prosciugate dal vuoto di un essere umano che non trova altro modo di comunicare.
Molto bello articolo…il non saper più attendere con entusiasmo e pazienza il giorno di festa che porta a festeggiare continuamente e con sfarzo qualsiasi occasione privata…che va pubblicata a qualsiasi costo…nel mentre.
Nel mio quartiere si sparano fuochi d artificio tutte le settimane dell anno perché accompagnano oramai tutte le tappe della vita di molti…: compleanni, anniversari di matrimonio,lauree,etc…e persino baby shower….
Tanto che i fuochi d artificio che prima si attendevano per la festa patronale per distinguersi da quelli ormai comuni si sono dovuti adeguare per attirare cmq l attenzione dei cittadini con musiche e immagini 3d proiettate sui monumenti rappresentativi della città…
Bell’articolo e bel commento.
Grazie ad entrambi.