Gustare e desiderare Sapienza
Prv 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58
Navigando fra i vari programmi letterari e testate giornalistiche, viene riportata spesso la curiosa relazione fra scrittori e lettori. Iniziamo ad affermare che ci sono sempre più scrittori e sempre meno lettori. Ed è una notizia emersa sul Sole24Ore (https://www.infodata.ilsole24ore.com/2023/12/31/in-italia-si-pubblicano-piu-libri-ma-cala-la-percentuale-di-lettori) riprendendo i dati di ISTAT, come anche risulta curioso il dato del self-publishing ovvero dei libri editati in proprio, spesso scartati dalle case editrici e pubblicati direttamente dall’autore. Un aumento vertiginoso di scrittori, con tutto il fascino che c’è dietro alla figura dello scrittore, ma sempre meno persone che leggono, che si mettono in ascolto del testo e dell’esperienza di un altro. Tutto abbiamo da dire qualcosa ma nessuno riesce più ad ascoltarla. E la liturgia della Parola di oggi ci sembra offrire una interpretazione per riscoprire come non è detto che pubblicare libri ed essere scrittori sia sinonimo di sapienza. Anzi, proprio la liturgia di oggi ci aiuta a riconoscere come la Sapienza non sia equivalente alla produzione di carta stampata che riusciamo a proporre, anche quando pubblichiamo da soli. In altri termini, non è detto che scrivere libri sia segno di sapienza, come non è detto che la sapienza si manifesti in chi scrive libri. Perché la sapienza, narrata nel libro dei Proverbi, non scrive libri ma costruisce casa, intaglia le sue sette colonne, manda le sue ancelle per la città, in mezzo alle persone e invita a gustare, a mangiare pane e vino. Una sapienza curiosa, una sapienza che dona se stessa non attraverso volumi che facciano crescere la notorietà, ma attraverso il gusto, il cibo, la condivisione che genera vita. La sapienza opera tutto questo costruendo la sua casa in mezzo alle persone. ed è attraverso questo sguardo sapienziale che possiamo comprendere cosa vuol dire Gesù nel Vangelo. Attraverso questo sguardo sapienziale possiamo comprendere cosa significhi che Gesù da la sua carne per la vita del mondo, che lui è il pane vivo disceso dal cielo. Mangiare la sua carne e bere il suo sangue significa rimanere in lui, significa fare casa dentro di lui. Una esperienza che travalica anche il senso fisico del cibo come il senso fisico del corpo, aprendoci ad una dimensione simbolica, ad una realtà che va ben oltre le nostre stesse aspettative, come le aspettative stesse delle persone che stavano ascoltando Gesù. E nel suo discorso Gesù è partito dalla condivisione del pane per farci giungere, attraverso il pensiero simbolico, a riconoscere come egli stesso sia quel cibo, egli stesso sia quella bevanda che dà la vita, unendo se stesso alla condivisione del pane e del vino, del suo Corpo e del suo Sangue. Una unione simbolica che diviene stile di vita, che assume una postura dinanzi all’altro da fratello e sorella. Una postura che scava dentro, che apre tutto il nostro corpo alla vita eterna. Una postura esistenziale che diviene vita spirituale, dal come mangiamo al come stiamo con le persone, al pensiero libero che abbiamo il coraggio di portare avanti. Una vita spirituale che diviene modo di vivere, come ricorda Paolo. Non solo confessione delle labbra, ma modo di vivere con le altre persone. Non solo scrittura di libri ma soprattutto relazioni quotidiane animate dalla sapienza. Saper dosare il tempo, saper vivere in maniera sobria, senza ubriacature ed eccessi. Saper gustare l’altezza e la bellezza con canti, inni e salmi. Avere il coraggio di sganciarsi non dalle persone ma da quelle situazioni che ci fanno affondare per poter essere davvero liberi e desiderare ancora di essere vivi.