Diritto alla città: accesso e processo
Nelle pratiche amministrative o nelle lotte per il riconoscimento entriamo in un ambito politico del tutto particolare qual è quello dello Stato di diritto. Lo Stato moderno nasce per tutelare i diritti di cui è portatore ogni uomo e ogni donna per il fatto stesso di essere umano. Qui, dunque, si scatenano la maggior parte delle lotte per il riconoscimento, appunto, dei propri diritti e le discussioni politiche per comprendere quali siano i diritti essenziali e quali, invece, non siano diritti. L’uguaglianza dei cittadini, dunque, è regolata dal diritto ed è il diritto stesso che cerca di equilibrare e risolvere le tensioni sociali, da qui la giustizia come salvaguardia del diritto di ogni singolo cittadino e della collettività. Ora, la questione è complessa e non basta un semplice articolo per risolverla, anche perché ogni salvaguardia del diritto presuppone un dato storico o un fatto da interpretare. Per quanto riguarda il nostro campo di interesse, dunque, volgiamo l’attenzione al diritto alla città. Una felice espressione coniata da Henri Lefebvre in un suo piccolo libretto, intitolato Il diritto alla città. Espressione ripresa anche da David Harvey nel suo libro Città ribelli come anche in L’esperienza urbana, ormai è una frase diventata celebre nel mondo degli studiosi di città. Ma ciò che desideriamo sottolineare non è solo il diritto alla città ma la processualità urbana. Infatti, quando parliamo di un diritto alla città, intendiamo una accessibilità alla città, ovvero tutti quei mezzi e strumenti che vengono messi a disposizione del cittadino o che non vengono messi a disposizione, rivelando grandi e gravi mancanze delle varie amministrazioni locali. Il terreno della città, dal punto di vista del diritto alla città, diviene uno dei campi di battaglia più congeniali e più utilizzati, consapevolmente o meno, dal cittadino per far valere i suoi diritti. Detto in altre parole, se la città è costruita per il cittadino, la città stessa ha bisogno di cittadini attenti e che sappiano quali siano i loro diritti, senza delegare la loro conoscenza ad altre persone. Infatti, se il cittadino non conosce i propri diritti e non sa neanche quali siano, allora altri utilizzeranno i suoi diritti o faranno semplicemente finta che non esistano. Il problema, dunque, è in primo luogo quello della conoscenza e, in secondo, quello della processualità. Perché conoscere i propri diritti e i diritti degli altri significa accedere alla città, poterne essere i costruttori senza lasciare il tutto all’iniziativa amministrativa o privata. Il diritto alla città, dunque, è un diritto che prevede la conoscenza del tessuto urbano, ma questa non basta. Per essere davvero cittadini occorre anche una processualità urbana, ovvero un riconoscere di essere attivi all’interno della propria città, in ogni gesto quotidiano. Quando parliamo di processo riconosciamo nella città gli elementi da poter cambiare affinché il diritto alla città diventi consapevolezza della città stessa. Infatti, un semplice diritto alla città renderebbe l’equilibrio fra il diritto privato e il diritto pubblico, mentre la processualità fa sì che insiemi di privati possano trasformare la città attraverso azioni che rendano tutti più consapevoli del diritto alla città e dell’accessibilità del diritto a tutti e non solo a chi ne ha le possibilità. Per questo motivo, azioni come pulire le spiagge, curare un parco, coinvolgere i cittadini in processi di rigenerazione della città, mettere in rete persone e idee, occuparsi delle fasce più disagiate del territorio, rende la città non solo più accessibile dal punto di vista del diritto ma anche più consapevole di se stessa, della propria abitabilità. E ogni azione consapevole è tale solo nella misura in cui non prevede solo una reazione mediatica ma innesca un processo che trasformi la realtà e garantisca a tutti l’accesso alla città.