Costruire e abitare: un esperimento con i giovani
Qualche settimana fa ho chiesto ai ragazzi e alle ragazze della comunità parrocchiale in cui mi trovo a collaborare di disegnare la pianta di una casa in cui vorrebbero abitare. L’intento era quello di riflettere non solo sulla struttura di una casa ma soprattutto sulla dimensione esistenziale dell’abitare. Infatti, la forma che diamo all’abitazione è riflesso della nostra forma interiore, del modo con cui ci disponiamo all’interno dello spazio e del tempo. Non tutti i giovani hanno risposto, ma in molti hanno disegnato la loro casa con elementi di somiglianza ed elementi di differenza. La struttura di ogni casa, tutto sommato, si presenta allo stesso modo con una sistemazione pensata degli spazi. Dopo l’ingresso, infatti, troviamo le stanze per l’ospitalità (salotto, divano, televisione), poi le stanze comuni (sala da pranzo, balconi con tavolini), spazi privati (stanzette con librerie, camere da letto o per lo studio), spazi intimi (bagni, ripostigli). Dall’ingresso, quindi, c’è una dislocazione nello spazio che ci fa passare da una relazione con gli altri, fino ad una relazione con se stessi. È interessante notare come fra questi spazi ci sia o un incrocio dove ciascuno può regolarsi dove andare, o una chiusura occasionale con porte scorrevoli, oppure delle vere e proprie cesure che sperano lo spazio comune dallo spazio privato. Inoltre, solitamente gli spazi privati non hanno balconi che si affacciano all’esterno ma, qualche volta, solo delle finestre, ad indicare come quello spazio sia riservato alla relazione personale, ad una relazione con la propria interiorità, piuttosto che ad una relazione con l’esterno. Interessante è anche notare la dimensione dello svago all’interno della casa. Passiamo da librerie per la lettura e lo studio a vere stanze utilizzate per scopi ricreativi come palestre, cinema, piscine. C’è anche una sostanziale differenza fra chi vede il proprio spazio privo di elementi ricreativi e prettamente funzionale alla vita quotidiana e chi, invece, ha trasformato la propria casa in un vero e proprio parco giochi. Resta da chiedersi, tuttavia, se lo spazio del gioco e del divertimento possa essere solo uno spazio privato, all’interno della propria casa, e se questo spazio non riguardi solo le proprie esigenze e il proprio benessere, ma sia anche un momento aggregativo per nuove conoscenze. Senza cadere in facili risposte o giudizi, le case che i ragazzi hanno disegnato sono figlie sia della loro immaginazione sia della condizione storica in cui ci troviamo a vivere. L’esperimento, infine, ci permette di riflettere su un elemento essenziale ovvero che costruire una casa non è la stessa cosa che abitarla perché la costruzione indica stabilità mentre l’abitare spinge ad una evoluzione fatta di passaggi e storie, oggetti e cose, specchio di come gestiamo noi stessi e della nostra postura all’interno di questo mondo.