Contro la mediocrità
Gen 3,9-15; Sal 129; 2Cor 4,13-5,1; Mc 3,20-35
Nel suo celebre Le lettere di Berlicche, Clive Steples Lewis fa scrivere al suo diavolo Berlicche un passaggio che sembra poterci aiutare nella riflessione sulla Parola di Dio di questa domenica. Ad un certo punto, Berlicche dice che tutto ciò che desideriamo come essere umani, tutto ciò che c’è di bene e di prezioso, tutto ciò che c’è di bello, può essere facilmente soppresso dentro di noi in cambio di un nulla. Molti di quelli che definiamo piaceri e che sembrano poterci dare piacere o sollievo sono solo oggetti di un consumo atroce e vorace che ci lascia con nulla in mano. Mentre tutte le aspirazioni alla grandezza e alla bellezza preferiamo metterle da parte perché troppo impegnative, troppo esigenti, fino a rinchiuderci in uno dei peggiori inferni della contemporaneità: la mediocrità. Essere mediocri e diventare mediocri, nascondersi continuamente, dietro una massa informe, dietro una tastiera, dietro le colpe degli altri, è ciò che porta l’inferno sulla terra, quella bestemmia contro lo Spirito che tende a svalutare tutto, a dire come i farisei che si trovano dinanzi a Gesù: è per merito dei demoni che egli scaccia i demoni. Poter dire tutto è indice di una mediocrità che non sente il bisogno dell’altro, che riversa sull’altro le proprie responsabilità, che si giustifica e cerca costantemente di giustificarsi pur di non uscire allo scoperto. Questa è la mediocrità che è il nascondimento stesso di Adamo, quella paura che lo fa nascondere dinanzi ad una libertà in cui il Signore chiama, in cui il Signore fa sentire la sua voce, in cui il Signore interroga e domanda: dove sei? Non una chiamata incosciente, ma una chiamata alla responsabilità, al dirci dove siamo oggi, a fare i conti con le nostre paure senza demandarle ad altre, senza lacerare ulteriormente i tessuti della nostra vita e della società fatta di altre persone. Diffidenza nei confronti delle altre persone che ci spinge sempre più a chiuderci dentro di noi, a mettere sotto giudizio gli altri perché, in fin dei conti, c’è sempre un tornaconto personale. In questo consiste la mediocrità che ci fa vedere solo a noi stessi, solo a ciò che penso io, solo a ciò che presumo di sapere io, solo a ciò che dico io che è la verità. Un meccanismo che è già presente dentro di noi e che si alimenta fino a legarci, fino a chiuderci, fino a farci pensare che tutto sia lecito fino a quando non tocca la mia vita privata. E se questa rottura è alla base del peccato originale è perché questa rottura dell’alleanza con Dio e con le altre persone la portiamo dentro e rischiamo ogni giorno di farla incancrenire dentro, se non guardiamo alla bellezza, se non proviamo ad alzare lo sguardo, se non riusciamo a trovare nulla che abbia spessore e audacia, virtù e grazia dentro di noi. Se non ci accorgiamo, come ci ricorda Paolo, che la sua grazia dentro di noi si rinnova di giorno in giorno. Se non ci accorgiamo di questo, allora, insieme all’umano esteriore si va disfacendo anche l’umano interiore. Perché a questo porta la mediocrità: alla disfatta dell’essere umano interiore, alla disfatta totale dell’umanità che diviene dipendente da qualsiasi privatizzazione del corpo e della società, che diviene oggetto e soggetto di potere, che diviene diffidente e controllante. Una mediocrità tossica che richiede una grande libertà, una libertà anche folle e controcorrente, per poter uscire da sé, per poter andare incontro all’altro e dire che egli è mio fratello e mia sorella, in Cristo Gesù. Ci vuole una grande libertà, un grande spessore umano che possa rivolgere l’anima al Signore e attenderlo più che le sentinelle l’aurora.