Condividere esperienze per amministrare le città
I Comuni sono tutti uguali. Ovviamente questa é una esagerazione che rischia di passare per qualunquismo. Tuttavia noi la vorremmo utilizzare come augurio per le amministrazioni comunali. In un incontro di formazione alla cittadinanza attiva, Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, ha dichiarato di aver copiato da altri Comuni italiani delle soluzioni risultate vincenti per il Comune di Bari che amministra. In quest’ottica, allora, il nostro augurio é che tutti i Comuni siano uguali. Ma in che senso? Per prima cosa occorre porre una differenza sostanziale fra uguale e identico. L’uguale ha a che vedere con l’uguaglianza non della conformazione dei territori ma del fine che ogni città ha ovvero il vivere insieme il meglio possibile. Ogni amministrazione, almeno nei proclami, si pone come soluzione politica volta ad un miglioramento delle condizioni all’interno di una città, ad una maggiore convivenza fra le persone. L’uguaglianza delle amministrazioni comunali, allora, non riguarda solo gli standard da adottare o da mettere in campo per fare meno danni possibili, ma il fine che ogni amministrazione si pone nella gestione non solo della città, ma del territorio nel suo complesso. Le soluzioni, allora, nell’uguaglianza dei fini, possono essere differenti e più o meno vincenti. Ma se in questo indichiamo una uguaglianza, con identico intendiamo ciò che ha a che vedere con la ripetizione pedissequa di modelli. Ripetizione sia nel tempo che nello spazio, identificandosi con modelli del passato che, non si sa perché, se sono falliti nel passato non vediamo perché dovrebbero funzionare per un futuro, oppure una ripetizione nello spazio, attraverso modelli che non guardano più al fine ma alla semplice omologazione, disincarnata e deterritorializzata. Allora, i Comuni non possono essere tutti identici, sarebbe ripetere il disastro dei fast food in ogni città, sempre e comunque identico a se stesso. I Comuni hanno bisogno di essere uguali nel fine e nel guardare anche alle soluzioni adottate negli altri Comuni. Essere i primi a fare un qualcosa, in un Comune, non é detto che sia sintomo di novità. Ma il prendere un modello da un altro Comune e cercare di adattarlo ai bisogno della comunità e del territorio, questa ci sembra una scelta molto più saggia, oltre che vincente. Perché le soluzioni politiche, oggi, non possono essere più risolte attraverso blocchi ideologici e identitari, ma attraverso prassi condivise, amministrazioni che non replicano cose già viste ma che adattano esperienze, che condividono pratiche urbane per realizzare, insieme, il fine uguale per tutti: il benessere di tutte le persone nella città.
Ci sono due aspetti della nostra cultura che cozzano con questa preziosa prospettiva. La diffusa ignoranza amministrativa degli eletti e l’attitudine alla conservazione degli addetti. Per quanto, ad esempio, un’esperienza nella minoranza dovrebbe favorire al vincitore qualche competenza sulla conduzione, essendosi generalmente concentrato sulla contestazione, il suo sguardo avrà spesso ignorato o quantomeno sottovalutato le difficoltà del governante, salvo ritrovarsele come ostacoli “insormontabili” nella nuova postazione. E anche quando si tratta di conferme, quasi sempre l’atteggiamento della nuova Giunta, a parità di conduzione, è quello di voler “firmare” la propria azione come originale, unica, superiore. Aggravante: l’avvicendamento nello stesso ruolo, nella stessa Amministrazione di più assessori o la paradossale candidatura come “nuovo” di un. candidato già ampiamente protagonista dell’Amministrazione contestata che vanta futuri mirabili, avendo. direttamente gestito fallimenti passati (ogni riferimento ad amministrazioni note è puramente casuale). A questo si aggiunge la farraginosità di una macchina burocratica che aborrisce l’idea di adottare da altri buone pratiche, promuovendo l’idea che l’erba del vicino sia sempre la peggiore e meriti piuttosto d’essere ignorata, per non far cadere il senso dei propri premi/produzione elargiti a man bassa. Dunque, la speranza è che il campo venga dissodato e coltivato (da cultura) proprio attraverso il lavoro che state conducendo di formazione civica. Ambito prezioso quanto trascurato da politiche liberiste e leaderiste che coltivano il mito del superuomo al comando (anche quando è donna), piuttosto che un’idea reale di partecipazione capace di affidare il governo ad una rappresentanza credibile e qualificata.