Club: fuori, dentro, retro
In una delle sue ultime canzoni dal titolo Club, Ariete ci aiuta a riflettere sul nesso fra condizione esistenziale e fenomeno sociale della movida. Diventata in poco tempo una icona della musica italiana, i testi di Arianna del Ghiaccio, in arte Ariete, mettono in evidenza la condizione esistenziale di molti ragazzi e ragazze in piena fase adolescenziale, fra la solitudine, le scarse speranze di realizzazione, il bisogno di luoghi che deserti, come anche il desiderio di amare. In modo particolare, Ariete canta un amore dall’orientamento lesbico diventando così anche voce di storie omosessuali che attraversano, oggi in maniera ancora più marcata, il panorama musicale italiano e internazionale. Ma, al di là dell’orientamento sessuale e personale di Ariete, la canzone Club risulta essere interessante per il nostro studio di filosofia urbana e, in modo particolare, per le relazioni che sussistono fra il fenomeno sociale della movida e il senso di solitudine come condizione esistenziale, in modo particolare nelle fasce giovanili. Il testo poetico e la musica coinvolgente sono inseriti in una triplice ambientazione che, in realtà, è solo una vista da più angolazioni. Il centro di tutto è il Club, il luogo in cui consumare e svagare nei sabato sera della movida. Il luogo per tessere relazioni, per conoscersi e per rilassarsi. Un luogo, dunque, che è nato, pensato, costruito per il divertimento, in termini pascaliani, di divertissement. Un luogo in cui non pensare, non farsi prendere dalle preoccupazioni ma farsi guidare dal movimento, dalla musica, dalla danza. Eppure, nel Club di Ariete ecco che tutto è fermo, statuario. Persone, volti, relazioni sono ingessate, statuarie, ferme in un attimo in cui nasce un suono differente, un suono interno, una musica che narra di solitudine, tristezza e mancanza. Fuori da un Club, la pioggia diviene sintomo di una interiorità sola, che in mezzo a tante e tante persone non riesce a trovare l’amata. Tante persone, tante conoscenze, tanti followers ma ne basterebbe una per far cessare la pioggia che ci sbatte in faccia la realtà di una relazione finita. L’esterno del Club ci permette di intravedere una osmosi fra l’ambiente esterno e lo stato d’animo, per poi entrare all’interno, negli spazi del locale. Dinanzi all’attimo in cui tutto si ferma, ecco che la sola a muoversi è Ariete. Sola a muoversi ma, soprattutto, sola. Qui il paradosso si fa ancora più evidente: tante persone intorno, ma una solitudine interiore che ci mette a distanza da tutti, che crea un scissione fra ciò che appare di noi e un fondo oscuro di malinconia e rassegnazione. Dietro al grande divertimento di piste da ballo, di lucentezza, di un bisogno impellente di esistere agli occhi degli altri, c’è una interiorità che non vogliamo far vedere, una oscurità che ci portiamo dentro, in completa distonia con le tante situazioni esterne. Una distonia fra un pieno del locale e un vuoto interiore, che chiede una soluzione e una risoluzione, in termini di fuga. Non si può stare bene con gli altri quando sentiamo la mancanza di una persona che amiamo. Questa è la situazione paradossale di un Club, come anche della condizione umana tout court. Ed allora, ecco che si cerca rifugio nel retro, nei bagni che riflettono, in maniera improvvisa, lo squallore della nostra intimità che non vorremmo far vedere agli altri. Da una parte un locale pieno di gente e alla moda, mentre dall’altra un bagno colmo di adesivi e di scritte, in cui c’è chi si rifà il trucco come anche chi espleta i suoi bisogni incurante di chi ci sia intorno e chi vomita. Un retrobottega che ci appartiene, per quanto cerchiamo di eluderlo, proiettando il nostro profilo all’esterno. Un retrobottega in cui attendiamo che qualcuno entri per amarci e per riportarci, fuori da un Club, a casa.