Città e libero pensiero
In questi giorni, mentre si rialza la curva dei contagi, continuano le manifestazioni no-vax o no-green pass. Alcuni scienziati affermano che è proprio grazie a queste manifestazioni e al rifiuto di vaccinarsi, che i contagi sembrano risalire, in quanto molte delle persone ricoverate sono da annoverare fra le fila di coloro che hanno scelto di non vaccinarsi. Per quanto concerne la nostra riflessione, tuttavia, vogliamo soffermarci su un rapporto, messo in evidenza proprio da queste manifestazioni. Un rapporto che lega libero pensiero e città. Molte delle manifestazioni si sono svolte, infatti, nelle piazze delle maggiori città, sia in Italia che all’estero. Manifestazioni con richiami alla dittatura sanitaria, al non avere fiducia nella scienza, al complottismo, persino ai campi di concentramento e al nazismo. Tutto questo manifestato in piazza, ovvero in uno spazio pubblico e fatto passare per libertà di pensiero, con frasi del tipo: “La penso come voglio”. Ed è proprio da questa frase che vorremmo partire per analizzare cosa significhi “libero pensiero”. “Pensare come voglio”, innanzitutto, mette in luce un volere che antecede il pensiero, un volere che viene prima del pensare stesso. Infatti, se penso come voglio, significa che esiste una analogia del pensiero in relazione al mio volere. In questo modo, il pensiero risulta essere secondario alla volontà, la quale occupa un posto privilegiato in affermazioni e manifestazioni di questo tipo. Ora, il volere da cui scaturisce il pensiero, viene paragonato alla libertà, in quanto io sono libero nella misura in cui voglio, in cui io voglio. Il significato della propria volontà viene fatto passare per libertà, viene dislocato e, quindi, giustificato. In altre parole: io voglio perché sono libero, ma cosa voglio? Perché la domanda sul volere e sulla volontà, ci permette di ritornare al pensiero, di riflettere sulla mia volontà e di non farne il motore propulsore del mio pensiero. La volontà, in questo senso, viene messa al vaglio della ragione, del pensiero stesso. E tutto questo, senza giustificare la volontà con la libertà, ma praticando la libertà stessa nei proprio confronti, come scelta per sé. In questo modo, la libertà di pensiero diviene, prima di tutto, una pratica nei propri confronti, una pratica di conoscenza di sé in quanto libero, e non un andare contro altri. Le manifestazioni di “libero pensiero”, come possiamo notare, sono sempre accuse nei confronti di altri a difesa di se stessi e della propria individualità, nulla di più. In seguito, tornando al nostro discorso di pratica del libero pensiero, torniamo alla dimensione pubblica, della piazza come dell’intera città. Il libero pensiero, infatti, si gioca sempre in una dimensione pubblica, all’interno della città, altrimenti non sarebbe pensiero, in quanto comunicato ad altri, e non sarebbe libero, in quanto da soli non possiamo essere liberi ma solo soggetti a necessità. Un uomo o una donna soli, senza una dimensione pubblica che va dalla piazza ai servizi, come anche senza una città o un gruppo di appartenenza, sarebbero solo costretti da necessità di sopravvivenza, ma non sarebbero liberi. Per questo, dunque, il libero pensiero è una delle più alte manifestazioni dello spazio pubblico o, meglio, è ciò che, se davvero praticato, potrebbe trasformare il semplice spazi pubblico in spazio comune, creando comunità all’interno delle città. Il libero pensiero nasce nella dimensione pubblica, si alimenta di dialogo e di aperture, ed è per questo che il libero pensiero è divergente, controcorrente, anarchico. Non perché scambi per pensiero ogni capriccio della volontà, ma perché si confronta, dialoga, lotta, approfondisce, attraversa lo spazio comunitario. Un libero pensiero è un pensiero che comunica e per questo genera comunità. Un pensiero travagliato, faticoso e luminoso, perché pensa ad una libertà insieme, contro ogni oscurantismo.