Appunti napoletani
Quando Walter Benjamin giunge a Napoli traccia una descrizione estremamente realista della città. Borgate proletarie, una chiesa che sola riesce a tenere il controllo della situazione, a creare fiducia all’interno della città e, in modo particolare, nei confronti della camorra. Una città densa, fatta di piccole strade, di povertà, di schiamazzi e di grida. Una città che, a prima vista, sembra essere allo sbando, intrappolata in se stessa e preda di voci rimbombanti che lasciano solo un gran mal di testa. Una città, insomma, che sembra rischiare di sprofondare da un momento all’altra nel caos, per cui basterebbe una scintilla per innescare una rivolta. Dalle narrazioni di Benjamin, la situazione attuale non sembra discostarsi molto. Sono giunto a Napoli qualche giorno fa per un convegno e mi sono ritrovato catapultato in una città ricca di stridenti contraddizioni. Alti palazzi aristocratici e piccole stradine in cui la gente si accalca. Palazzi borghesi diventati dei bed and breakfast, sistemati alla men peggio. Eppure, Napoli rimane una città colma di turisti. Una città piena di gente che ammira estasiata la miseria e gli schiamazzi, una città brulicante e viva, caotica e quotidianamente intenta alla sopravvivenza. Le prime impressioni che lascia Napoli, giungendo dalla stazione sono proprio queste. Una città del tutto particolare in quanto non possiede un singolo centro. Una città policentrica, per cui da una parte il Maschio Angioino, dall’altra Piazza del Plebiscito con il Palazzo Reale, dall’altra ancora il lungomare e dall’altra ancora la stazione ferroviaria. Una città che non possiede un centro e una periferia, ma in ogni parte si ritrovano centro e periferia, luoghi di potere e di marginalizzazione. Simbolo di un’epoca che fu e adattamenti per la sopravvivenza quotidiana. Il mio intervento per il convegno “Tra mito e realtà: immagini del Sud Italia in Russia e in Polonia”, verteva sulla presenza del movimento anarchico fra Russia e Sud Italia, in modo particolare a Napoli. Appena giunto con il treno in stazione, mi sono accorto che Napoli è ancora oggi il terreno ideale dell’anarchismo, fra l’estreme contraddizioni ancora visibili e l’autorganizzazione della vita. Prendendo spunto da un suggerimento di una professoressa napoletana, non si può che concordare sulla simbolica del potere a Napoli. Un potere sempre straniero: angioino, aragonese, borbone. Un potere sempre delegato a potenze straniere e mai visto come effettiva partecipazione di tutti alla cosa pubblica. Per questo motivo, la scissione fra pubblico e privato, fra spazi privati ben tenuti e spazi pubblici delegati al governo, è sempre più palese. Un’atmosfera urbana, insomma, che va ben oltre gli stereotipi di una città sporca e caotica, fatta di persone che non sanno vivere insieme. Non è questa la vera atmosfera di Napoli, quanto una stratificazione storica di popolazioni, caratteri architettonici e tradizioni popolari. Una Napoli che affascina proprio per questo, perché è e rimane se stessa, nello scorrere del tempo, nelle vicende storiche.