Accasati nel mondo
Continuando la nostra riflessione sulla stagione e la vocazione turistica delle città, possiamo approfondire il tema della relazione fra turismo e città allargando la questione alla dialettica fra estraneo e domestico. Sostanzialmente, il turismo come lo conosciamo noi è una pratica recente, strettamente legata alla massificazione degli usi e dei costumi della borghesia. Il turismo di massa ha una sua evoluzione o devoluzione che, come ci suggerisce Rodolph Christine passa dall’uso del mondo all’usura del mondo. Tuttavia, se il turismo è un fenomeno recente legato alla massificazione dei consumi, con tutto quello che ne deriva, esso si colloca all’interno di un alveo molto più arcaico che vede la presenza dello straniero all’interno della città. Dove lo straniero, nel corso della storia, ha assunto molte facce e sfaccettature per cui non basterebbe un singolo articolo. L’interesse simbolico dello straniero, in quanto elemento comune nella storia, è il perturbante. Lo straniero è il simbolo del perturbante sia come novità sia come inquietudine, sia come generatore di opportunità che di problemi, che penetra nel domestico, ovvero nello spazio della signoria, dove noi siamo proprietari e padroni. Il turista, in altri termini, è una versione del simbolo dello straniero che, tuttavia, viene regolata attraverso una serie di addomesticamenti, di padronanze e di proprietà che si traducono in strutture ricettive, bar, eventi, opportunità, serate. Anche lo svago o gli elementi incontrollabili del turista, fanno comunque parte di un addomesticamento come elementi collaterali, ma comunque gestibili. Esempi di questi elementi incontrollabili possono essere la distruzione o il danneggiamento di alcuni tratti peculiari o di monumenti della città. Anche se possono destare scandalo in alcuni momenti, ecco che sono sempre e comunque gestibili all’interno di un processo di addomesticamento per cui il turista è colui di cui ci si può, simbolicamente, appropriare, attraverso la soddisfazione della sua domanda, anche di eccedere. La ricezione, tuttavia, se ci pone in questa tensione fra turista e addomesticamento, non risolve la questione dello straniero nello spazio simbolico della domesticità. Lo straniero, in altre parole, fino a quando rimane turista può essere addomesticato ma se lo straniero diviene un ospite, ecco che si innesca tutta un’altra pratica di incontro e di condivisione. Una pratica in cui non è lo straniero ad essere addomesticato quanto la dimensione domestica a lasciar posto allo straniero, all’ospite. Nella pratica dell’ospitalità, insomma, è l’ospite che entra in uno spazio domestico non solo condividendone le pratiche ma immettendo le sue pratiche nello spazio domestico e trasformandolo in altro. l’sopite che abita il mio spazio domestico, il mio spazio dove sento di essere padrone e proprietario, mi permette di riconoscere e ricomprendere lo spazio non più come domus/dominus ma come casa. Dove casa indica il luogo abitabile nella diversità, non solo abitato da me o dall’estraneo, ma spazio allargato all’incrocio di storie, esperienze, luoghi. Così, nell’ospitalità allargo i paletti della mia casa oltre il domestico, oltre il conosciuto, oltre già esplorato, per aprirmi al mondo. Un essere accasati, di casa, nel mondo, questo genera l’ospitalità.