Abbondanza evangelica
2Re 4,42-44; Sal 144; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15
Nell’Alto Medioevo, in condizioni di vita estremamente dure e difficili, in cui le poche popolazioni dell’Europa avevano poco o nulla da mangiare, viene a crearsi una leggenda che attraversa ancora il nostro immaginario. Si tratta del Paese di Cuccagna, dove chi più dorme più guadagna. Un paese dove il tema ricorrente è quello dell’abbondanza. Abbondanza di salute, di giovinezza, di allegria, ma soprattutto di cose da mangiare in cui ognuno poteva saziarsi e cibarsi a tavole sempre imbandite. Un paese nato dalla mente, ma soprattutto dallo stomaco di tante persone a cui mancava tutto e che trascorrevano una vita difficile. Un paese dove regna l’abbondanza ma una abbondanza differente dalla Parola che la liturgia ci propone oggi. Abbiamo ascoltato sia nella pagina del Secondo Libro dei Re sia nel Vangelo come la moltiplicazione dei pani offra un senso di abbondanza, tanto da avanzare nonostante ci troviamo dinanzi a cento persone o, numeri ancora più impressionanti, dinanzi a cinquemila uomini. Ci viene raccontata di una abbondanza differente, in cui nulla va perduto, come ricorda Gesù. Una abbondanza differente anche dal capitalismo che, oggi a differenza dell’Alto Medioevo, produce abbondanza. La differenza fra il paese di Cuccagna, il Vangelo, il capitalismo non è nel risultato finale, di produzione delle merci, ma nel processo da cui quell’abbondanza deriva. Infatti, l’abbondanza di cui parla il Vangelo è una abbondanza che rivela il volto del Signore, che manifesta la presenza di Dio nel suo popolo e per il suo popolo. Ed è per questo che Gesù fugge appena lo vengono a prendere per farlo re. Fugge non per codardia o per eccessiva prudenza, ma perché quel popolo scambia l’abbondanza con il lieto fine, con il contentino che può offrire un leader e non come un atto di giustizia. Infatti, l’abbondanza che Gesù offre nel Vangelo è data da un segno di gratitudine e condivisione, uno spezzare insieme il pane e amplificare il dono dello spezzare. Gesù spezza il pane e lo dà ai discepoli affinché a loro volta lo distribuissero, affinché nessuno tenesse per sé se non il necessario, se non il giusto. Mentre il capitalismo produce abbondanza ma, al tempo stesso, ingiustizia, ecco che lo spezzare il pane di Gesù è segno di una abbondanza che deriva dalla giustizia con e per le altre persone. Se noi avessimo tenuto tutto per noi perché “non si sa mai”, la condivisione crea giustizia e, al tempo stesso, fa sì che tutti ne abbiano un pezzo. Ed è in questo che, la condivisione del pane proposta da Gesù è differente dal miraggio del paese di Cuccagna, dove ognuno pensa per sé e ognuno è intento a prendere tutto quello che può per sé. Cuccagna nasce da una profonda frustrazione per cui la sola cosa che rimane è immaginare un paese senza dolore e senza fame. Mentre la condivisione del pane che la liturgia di oggi ci propone nasce dal gesto di una persona che mette a disposizione quello che ha. Se il profeta Eliseo è stato uno straniero, un uomo proveniente da un’altra località, mentre per i discepoli è stato un ragazzino che aveva cinque pani d’orzo e due pesci. Dal gesto di una persona che ha donato quello che aveva, la comunità costruisce l’unità, come ricorda Paolo. Dal gesto di una sola persona nasce quella condivisione che ha come orizzonte l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace, fatta anche di una sopportazione vicendevole. E, allora, ogni nostro piccolo gesto, buono, bello, di donazione contribuisce a rendere il mondo un luogo più giusto, un luogo in cui l’abbondanza non è solo per me ma per tutti, in cui non c’è bisogno di fomentare ingiustizie attraverso la nostra indifferenza o sognare paesi al contrario, ma rimanere radicati in questa realtà, in questa storia e costruire unità attraverso la comunità, per essere e rimanere persone giuste, partendo da un gesto quotidiano.