Dalla casa popolare al social housing
Una città non è solo il luogo dove una persona nasce o dove si trova a vivere. Una città è anche il luogo che una persona sceglie di abitare, in cui sceglie di comprare casa e, quindi di vivere. Ancor di più, nel corso della nostra vita, possiamo vivere e attraversare differenti città, ciascuna con un suo specifico e ciascuna con una storia da raccontare e che ci portiamo dentro. Perché non solo scegliamo di vivere in una città, ma scegliamo di viverci e di lasciarci contaminare e influenzare dalla città stessa. Modi e abitudini che non solo fanno la città ma che costruiscono anche la nostra storia personale. Non possiamo negare che, in Italia, soprattutto dal Secondo Dopoguerra, l’abitare in città è stato fortemente influenzato dall’Edilizia Residenziale Pubblica. Nelle sue varie forme e aggregazioni, nelle sue differenti e disparate formulazioni e applicazioni, l’Edilizia Residenziale Pubblica condiziona ancora il nostro modo di vivere e di abitare la città. Il fenomeno dell’Edilizia Residenziale Pubblica ha permesso a fasce intere di popolazione media e bassa di accedere alla casa, attraverso sovvenzionamenti pubblici. Questo è l’elemento più interessante dell’Edilizia Residenziale Pubblica, ovvero che lo Stato si faceva carico del bisogno di abitazioni delle persone, dell’emergenza abitativa, innescando un grande mercato immobiliare non sempre lecito e trasparente ma che ha condizionato gran parte del tessuto urbano delle nostre città. Lo Stato, dunque, nel suo impegnarsi per la sovvenzione, la convenzione e l’agevolazione delle, cosiddette, “case popolari” ha attuato un principio politico fondato sulla considerazione della casa come bene pubblico. La casa come bene pubblico o, meglio, il diritto alla casa come prerogativa pubblica ha messo in moto la consapevolezza che l’abitare non è solo una questione privata ma ha a che vedere con la realtà pubblica, con tutta la città. Oggi, con il progressivo smantellamento del sistema assistenziale e la privatizzazione della vita e del governo individuale, assistiamo a nuove forme di relazione fra casa e pubblico. Una di queste è il social housing, non semplice risciacquo inglese della “casa popolare”, ma un modo di abitare che vede mettere in gioco l’iniziativa privata. L’housing sociale nasce dall’iniziativa di un privato che sviluppa l’abitare non nella suddivisione rigorosa degli spazi, ma implementando nell’abitato gli spazi comuni. Inoltre, nel social housing l’idea di fondo è quella di creare spazi comunitari e di condivisione all’interno del condominio o dell’abitato. Si passa, insomma, dal pubblico al comunitario che non coincidono, in quanto il comunitario è molto più complesso della fruizione dello spazio pubblico. La realtà della comunità vede sempre in relazione il privato e il pubblico come costruzione vicendevole. Non esiste un privato senza una dimensione pubblica e non esiste un pubblico senza l’apporto dei privati. Nella prospettiva del social housing, dunque, la funzione pubblica della casa viene ripresa nella condivisione comunitaria degli spazi, con il desiderio di costruire insieme la realtà della comunità, di autogestirsi imparando a convivere insieme. Una commistione fra pubblico e privato che non c’è solo nella fase progettuale e di convenzione per il costruire, ma anche e soprattutto nell’abitare, convivendo risorse e imparando a fare città.