Handala: la vignetta dell’attesa
Per chi visita la Palestina è facile imbattersi nella street art. Il muro che separa ancora Israele e Palestina, il muro del pianto per vergogna e sofferenza, è anche il muro che racconta di una lotta silenziosa e costante, di una lotta quotidiana. Si tratta della lotta per la sopravvivenza del popolo palestinese, sempre più osteggiato e rinchiuso in riserve. Popoli nativi, popoli occupanti, popoli occupanti, ognuno offre una sua descrizione a seconda delle prospettive politiche di gestione del territorio. Ogni parola ha bisogno di essere pesata perché potrebbe diventare una miccia esplosiva in un’atmosfera gonfia di rancore e oppressione. Per questo, anche la street art diviene atto politico, rivoluzionario all’interno dei quei territori. Lo ha capito benissimo Banksy che, proprio in Palestina, ha riversato la sua arte migliore. Ma prima ancora di Banksy c’è Naji Al Ali, ancora oggi il più celebre vignettista palestinese. Nato nel 1948, stesso anno della proclamazione dello Stato di Israele, Naji Al Ali fu assassinato nel 1987, in circostanze ancora tutte da chiarire. Naji Al Ali è l’autore di Handala, il celebre bambino raffigurato sempre di spalle. Una vignetta semplice nella sua realizzazione, in modo da poter essere riprodotta più e più volte. Una vignetta in cui siamo spinti a guardare l’orrore della guerra, degli sfollamenti, dei campi profughi attraverso lo sguardo di un bambino palestinese, ritratto di spalle, con la testa ispida, i vestiti rattoppati e i piedi scalzi. Un bambino che vive in una condizione di estrema povertà, a cui è stato sottratto tutto e che rimane da solo a guardare la violenza perpetrata dagli israeliani nei confronti dei palestinesi. L’immagine ha suscitato così grande commozione che, in seguito, è stata utilizzata per allargarne il campo semantico, dal popolo palestinese alla nazione, a tutti i popoli oppressi, fino a giungere all’umanità intera. Una prospettiva tutta particolare attraverso cui guardare il mondo, una presenza silenziosa, a cui viene negata anche la possibilità di voltarsi o che, appositamente, non vuole voltarsi come segno di protesta. Di Handala non conosciamo il volto, ma solo la prospettiva. Perché egli non è la voce di una singola persona, ma lo sguardo di un popolo che si vede sottratto di tutto, dall’arrivo di altri popoli. Un bambino che rimane in silenzio, che non dice nulla e non pronuncia nessuna parola cattiva o, perlomeno di protesta, dinanzi alla perfidia dell’essere umano. Un bambino che rimane in silenzio e, soprattutto, che rimane. Perché questa è la vera rivoluzione di Handala: rimanere. Una presenza muta, ma ostinata. Una presenza che non grida ma osserva, una presenza che non giudica ma invita a mettersi dalla sua parte. Un’arte rivoluzionaria non perché mostra un gesto violento, ma perché rimane in silenzio. In attesa che quest’incubo finisca.
Le situazioni estreme portano a due tipi di reazioni: quella silenziosa come la bellissima ed espressiva vignetta di Handala, oppure la reazione estrema tipica degli atti di terrorismo. Il silenzio dirompente del bambino di Handala mi ricorda per alcuni tratti la protesta pacifista di Gandhi.