I nani e le miniere: fra durezza e desolazione
In opposizione agli elfi, come simbolo della nobiltà interiore e dell’altezza spirituale dell’esistenza e dell’abitare, Tolkien non pone il male ma un altro tipo di creature: i nani. Se, infatti, Tolkien avesse posto il male come diretta contrapposizione agli elfi, avrebbe inscenato una lotta manichea fra bene e male, come due forze opposte e contrastanti. L’intento di Tolkien, a nostro parere, non sembra essere questo, ma piuttosto affermare che il male è qualcosa di trasversale a tutti, capace di insinuarsi in ogni cosa e di sottomettere ogni creatura e di desertificare ogni cosa, pur di primeggiare. Per questo motivo, all’opposto degli elfi non c’è il male ma la popolazione dei nani. Se gli elfi sono il simbolo dell’alto lignaggio, i nani sono rabbiosi, istintivi, non capaci di alte conoscenze ma di grande maestria. I nani sono una popolazione di minatori, di gente pratica, che non perde tempo sulle vette della conoscenze e del pensiero, ma cerca di scoprire e cogliere quanta più materia ci sia all’interno delle montagne. Se volessimo paragonare l’antropologia di Tolkien al mito filosofico della biga alata di Platone, potremmo affermare che se gli elfi sono il cavallo bianco che vola in alto, i nani sono il cavallo nero che tenta di scendere nella terra e nella materia. Non, dunque, una contrapposizione fra bene e male, ma due caratteristiche dello stesso animo umano. Ed è per questo che i nani sono il controaltare degli elfi, sia dal punto di vista di descrizione che ne fa Tolkien, sia come statura, sia come dimensione antropologica dell’essere umano, sia nell’abitare. Se gli elfi cercano un costante equilibrio fra natura e cultura, i nani sono coloro che scavano nella materia, che scendono nelle viscere delle montagne, che cercano, che plasmano, che manipolano la materia. È quella nostra parte umana di attaccamento alla materia, che rischia di diventare quasi un ossessione. Tipico sviluppo di questo attaccamento alla materia in maniera ossessiva sarà la riconquista della Montagna Solitaria narrata ne Lo Hobbit. Il carattere dei nani riflette la scelta del loro abitare. Se essi sono duri come la pietra, testardi, rapidi a stringere amicizia e a scatenare ostilità, e capaci di sopportare la fatica e la fame e il dolore fisico con più fermezza di ogni altro popolo della Terra di Mezzo, la loro abitazione non poteva che essere la montagna. Ma se il luogo che i nani abitano è la montagna, la tipologia del loro insediamento è la miniera. Ogni casa dei nani viene chiamata, infatti, miniera, dalle Miniere di Moria a Ereborn per giungere ai Colli Ferrosi. Dimore architettonicamente differenti da quelle degli elfi, ma con un continuo richiamo alla plasmazione e alla fabbricazione della materia. Le miniere, infatti, non sono luoghi abitabili ma luoghi di lavoro, ma proprio per sottolineare come i nani siano creature legate alla fabbricazione e alla trasformazione della materia, il lavoro diviene dimora e la dimora il significato della loro esistenza. Il senso della miniera, dunque, è nella sua simbolica estrattiva, trasformativa e, al tempo stesso, di profondità nel sottosuolo. Quella parte della nostra umanità che scava dentro, che approfondisce, che ha senso pratico, che riguarda e tocca costantemente la materialità dell’esistenza: questo ritroviamo nelle miniere dei nani. E più l’attaccamento alla materia si fa ossessivo, più i nani scavano nelle profondità della montagna, più scatenano cose più grandi di loro, mali enormi. Nelle Miniere di Moria ritroviamo il Balrog, un essere di fuoco e servo di Morgoth mentre, nella Montagna Solitaria, il drago Smaug. Due esseri che rappresentano il male, un male nascosto e che giunge improvvisamente, invadendo e devastando la dimora, distruggendo tutto in un attimo. Un male che provoca desolazione, che giunge improvviso mentre l’animo umano è tutto intento a plasmare la materia, trasformando il lavoro sulla materia in ossessione per la materia. Così la miniera diviene quel sottosuolo in cui l’ossessione diviene desolazione, la testardaggine rancore, la durezza del cuore estrema fragilità.
“Veniamo da Dio e, inevitabilmente, i miti da noi tessuti, pur contenendo errori, rifletteranno anche una scintilla della luce vera: la verità eterna che è con Dio. Infatti solo creando miti, solo diventando un sub-creatore di storia, l’uomo può aspirare a tornare allo stato di perfezione che conobbe prima della caduta. I nostri miti possono essere male indirizzati, ma anche se vacillano fanno rotta verso il porto, mentre il “progresso” materialista conduce solo a un abisso spalancato e alla Corona di Ferro del potere del male.”
(citato in Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien. La biografia, Lindau, p. 225)