Comunità: scelta controcorrente
Lo sviluppo locale consegue che vi siano gruppi, nel territorio, che si occupino del tessuto urbano e sociale in cui vivono. Uno sviluppo locale non significa sviluppo industriale di un territorio, anzi, questo è stato il grande errore delle visioni precedenti, per cui creare occupazione attraverso grandi industrie avrebbe migliorato le condizioni di vita delle persone. In realtà, ci rendiamo conto che, se da una parte è migliorato il benessere, dall’altra non sono diminuite né le disuguaglianze né è aumentata la qualità della vita in sé. Un incremento economico non dice tutto di un territorio e delle persone che vi abitano, anzi, in alcuni casi è risultato persino dannoso per gli stessi cittadini. Le nuove linee emergenti, per quanto riguarda lo sviluppo locale, puntano ad una inversione dei territori, passando da spazi geometrici scomponibili e divisibili all’indefinito, a luoghi peculiari e specifici di culture, storie e abitanti. Una inversione di rotta che risulta essere ancora controcorrente e in controtendenza, rispetto agli stili di vita contemporanei. Questa inversione di rotta, controcorrente, è formata da gruppi, associazioni, collettivi, gruppi informali, parrocchie che progettano i loro interventi a favore della comunità. La grande bestia nera, ciò che non siamo più abituati a vivere e, d’altro canto, ciò che non vorremmo vivere è proprio questo: la comunità. Perché comunità indica complessità, indica riflessione, indica capacità differenti che non si adeguano ad una società della prestazione, indica progettazione condivisa, relatività dei punti di vista e delle prospettive, come anche tempo. Le accelerazioni globali e le prestazioni specialistiche e immediate che ci vengono richieste, sembrano giocare a sfavore della comunità, come anche approcci veristici e gerarchici alle comunità, danno solo una pallida parvenza di un lavorare insieme. Creare comunità è la grande sfida del progetto locale, del pensare locale e del vivere nei territori. Ricostruire un tessuto fatto di storie, narrazioni, paesaggi, tipologie abitative, costruzioni e, in modo particolare, linguaggi. Un territorio, dunque, non è uno spazio, ma una sintesi storica fra natura e cultura, fra ciò che c’era e ciò che sarà, chi siamo stati e chi siamo oggi. Cogliere la sfida dei territori, oggi, significa cogliere i segni che danno forma al territorio stesso, perché un territorio si manifesta a noi nelle tracce lasciate. E le tracce sono colture, saperi, forme di socialità, riti, conoscenze, adattamenti ambientali, una rete che si sfilaccia sotto il cemento di uno sviluppo incontrollato, di una standardizzazione urbana, di una pianificazione delegata alle “lobbies” del mattone e ai gruppi di pressione per interessi economici, piuttosto che agli abitanti. Per questo la scelta di fondo è una scelta di impegno locale, di creazione di comunità per creazioni comunitarie. E vivere la città per come la vogliamo, non per come la impongono.