Smontare la città: spazi urbani e scenari di guerra
Già durante i primi giorni della guerra in Ucraina ci sono giunte non solo dichiarazioni e dialoghi diplomatici ma anche e soprattutto immagini e video. Una guerra combattuta alle porte dell’Europa di cui ci giungono immagini, video, testimonianze, non solo dalle fonti giornalistiche e dai report di guerra, ma anche e soprattutto dai social. È una guerra che si combatte e che rimbalza nei vari social network, con dichiarazioni di sostegno, narrazioni per immagini, video di ciò che avviene o descrizioni di ciò che potrebbe avvenire. È una guerra, insomma, in cui il ruolo delle immagini e dei video assume un fattore preminente, tanto da poter guardare in ogni momento ciò che avviene alle truppe russe e a quelle ucraine, o meglio, ciò che i social ci permettono di vedere e di ascoltare. E la maggior parte delle immagini ci raccontano di distruzione, uccisioni, razzi lanciati come fuochi d’artificio, carri armati e, in particolare, edifici. Case, palazzi, strade distrutte da un razzo, come anche zone militari, caserme delle forze dell’ordine, ponti. Tutto ci parla non solo di morte e di distruzione, ma anche e soprattutto di città disabitate, di luoghi desertificati, di sfollamenti e code sulle strade. La guerra, insomma, sembra che abbia a che vedere con la città. La maggior parte delle foto che ci giungono sono foto di città, ma anche se guardassimo la storia, ci accorgeremmo che ogni guerra ha sempre avuto a che vedere con la città. Fin dalle origini della guerra, fin dall’epica guerriera com’è l’Iliade, la conclusione di una guerra è simboleggiata dalla presa della città nemica, dall’espugnare la capitale della nazione o dello Stato con cui si è in guerra. La fine della Seconda Guerra Mondiale, l’ultima guerra che ha sconvolto l’Europa, si è conclusa con la presa di Berlino, capitale della Germania. E non è un caso che, proprio Berlino, sia stata suddivisa fra le due superpotenze vincitrici: Stati Uniti e Unione Sovietica. La conquista della capitale, durante una guerra, è il simbolo della vittoria e, al tempo stesso, della cessazione delle ostilità. Inoltre, nel corso della storia, ci sono stati vari modi di vincere una guerra e vari trattati su come poter espugnare una città. Dalle tecniche più antiche di espugnazione di una città attraverso l’ingresso dei nemici e il crollo delle mura, passando all’occupazione degli edifici del potere centrale da cui partono le direttive e gli ordini militari, giungendo all’impadronirsi della leadership e dei luoghi simbolo del potere. In questa evoluzione degradante della guerra, dunque, come si conquista oggi una città? Guardando l’offensiva russa in Ucraina, da una parte ci accorgiamo di essere spettatori di uno scenario bellico che si sta combattendo su diversi fronti, fra cui uno è quello dell’utilizzo delle armi, mentre altri sono le dichiarazioni, i circuiti economici, il mondo virtuale, i servizi di spionaggio. Ci sono elementi che si vedono ed elementi che sfuggono alla vista, i quali appartengono maggiormente all’astuzia di chi conduce la guerra. Ma se ci soffermassimo a vedere quello che sta accadendo, come si conquista una città attraverso la guerra, nella contemporaneità che stiamo vivendo? Notiamo, innanzitutto, poca presenza di fanteria nelle città, non si entra più in forze in una città che è in pieno possesso di un governo, ma si cerca di attaccare a distanza, con razzi e missili e, prima ancora, infiltrandosi negli spazi del potere, in particolare economico. La conquista di uno Stato e di un capoluogo, avviene attraverso uno smontare la città. Prima il potere economico, poi attaccare elementi strategici come aeroporti militari e basi missilistiche, poi ponti e strade, poi caserme, poi attraverso occupazioni di terra e di mare, fino a giungere ai luoghi di potere. Una strategia, dunque, in grado di smontare la città, di staccare pezzo per pezzo tutto ciò che la tiene insieme, tutti i legami presenti, tutte le comunicazioni, per poi prendere il potere. La guerra si vince attraverso l’isolamento e questo la storia russa lo sa bene. Ma ogni guerra, in fin dei conti, produce uno smontare la città, che non significa solo un degrado, una destrutturazione, una decostruzione della città, ma togliere un pezzo dopo l’altro dalla complessa e complessiva rete che lega la città in sé stessa e con le altre. Se questo lega le città alla guerra, è anche vero il contrario, che la pace si costruisce per relazioni complesse e complessive. Un lento e costante lavoro ma che, a differenza della guerra, costruisce città per il domani, per il futuro in cui figli e figlie potranno vivere.