Dichiarazioni politiche: pubblico per pubblicità
Mi desta sempre maggiore interesse, da un po’ di tempo a questa parte, una forma particolare di politica urbana e locale: i comunicati. Non si tratta di comunicati stampa che promuovono un evento, né tantomeno comunicati elettorali dove una forza politica candida una visione o un progetto, oltre che volti noti e sorpassati. Si tratta, più che altro, di dichiarazioni da parte di singoli o associazioni riprodotte a mezzo stampa, o pubblicate su testate giornalistiche locali e diffuse attraverso social e gruppi virtuali. Si tratta di dichiarazioni prevalentemente, se non esclusivamente, di denuncia. In particolare di questioni legate a ritardi nella macchina amministrativa locale, oppure di degrado urbano. Sarebbe banale ridurre queste dichiarazioni a giochetti politici, atti a preparare il terreno per prossime candidature elettorali o per acquisire più visibilità nella gestione della politica locale. Se esaminassimo con più attenzione queste dichiarazioni, potremmo guardare a quegli elementi comuni e stereotipanti che trasformano la politica pubblica in una forma di pubblicità personale e di autopromozione di se stessi. Il primo elemento comune è, banalmente, qualcuno che parla, qualcuno che dà voce ad un evento locale o ad una situazione sociale. Dove il dare voce significa essere sintesi di una collettività: indefinita, misteriosa, anonima, nascosta dietro le cifre, i sondaggi, le opinioni, mai dietro narrazioni. Perché le narrazioni personali danno parola alla voce di ciascuno, diminuendo, più che aumentando, la voce di chi dichiara e proclama. Nomi e volti che si delineano perché danno voce agli altri, parlano al posto degli altri, che si appoggiano sulle voci di chi non si espone, non si esprime, non si differenzia, non agisce e, in tal modo, permette e acconsente che ci siano voci collettive, persone che diventano sintesi di cittadini residenti in alcune zone politiche. Dare voce, significa sempre dare voce ad una zona particolare della città: cittadini del centro storico, cittadini della zona 167, cittadini di quella via, di quel rione, di quel quartiere. Zone politiche che, attraverso le dichiarazioni per comunicati stampa, divengono probabili serbatoi di voti e zone di influenza elettorale. Voci collettive localizzate in territori urbani ben identificabili. Voci non prive di contenuto riassumibile in poche frasi che sottolineano il disagio dei cittadini, il degrado urbano, la poca sicurezza, fatti di cronaca legati ad una quartiere o ad una zona della città. Denuncia che intercetta il malcontento dei cittadini, difficoltà quotidiane che divengono il paradigma di verità nella percezione della città stessa e che incrementano, come una cassa di risonanza, lamentele, minacce, odio. Allora, qual è la soluzione preposta nelle dichiarazioni politiche? Nessuna. Una semplice delega affinché le istituzioni possano occuparsi celermente delle questioni esposte, delle denunce fatte. Delega che sortisce un triplo vantaggio per chi denuncia. Il primo vantaggio è quello di aver reso nota una situazione di interesse pubblico in maniera rapida, il secondo è di sottolineare la responsabilità delle istituzioni e al tempo stesso una deresponsabilizzazione del proprio compito, terzo non impegnarsi troppo per cambiare veramente la situazione, in quanto i cambiamenti necessitano di un lavoro lento, costante, quotidiano, di cui spesso non vediamo i frutti, insomma, l’esatto contrario di una dichiarazione per mezzo di comunicato stampa. Con questo vogliamo dire che i comunicati stampa e le dichiarazioni non servono? No, al contrario. Servono a far sì che tutto muti, senza che cambi nulla, ad una campagna elettorale che porterà coloro che oggi denunciano con comunicati stampa a diventare rassicuranti, pacati e promettenti una volta entrati nella complessità delle questioni amministrative e nella gestione tecnica di una città. Un mutamento senza trasformazione perché strumentalizza il pubblico per una personale pubblicità. Senza visioni a lungo termine senza idee, senza proposte, senza progettualità, senza prospettive. Insomma, senza un pensiero sulla città che possa, dialogo dopo dialogo, trasformare politicamente le nostre vite non solo di residenti, ma di cittadini.