Abitare temporaneo: rendere critica la crisi
Tempo si dice in molti modi e non abbiamo più l’idea di una sola e semplice linea temporale che da un punto iniziale giunge ad un punto finale. Ma si tratta di più tempi, di una contemporaneità, che ha radici arcaiche. Della pluralità dei linguaggi e delle maniere del tempo, ne abbiamo abbozzato un inizio significativo nel numero XIV/2019 di Logoi.ph, che ha come immagine di copertina l’opera di Bianca Roselli, in grado di ripensare la stemma omogeneità del tempo in maniera plurale. Nell’articolo di spiegazione della copertina per il numero della rivista, Roselli procede per strati. Per prima cosa individuiamo due tempi: l’umano e il cosmico, simboleggiati dai due soli. Non solo due tempi, ma una riflettività del tempo stesso, come nel mito orfico, evidenziato da Roselli. Si tratta, infatti, di un tempo che si manifesta nella molteplicità di un tempo senza tempo, di un tempo arcaico e ancestrale. Un tempo non semplicemente oggettivo ed empirico, schiacciato su una oggettività asettica, ma racconto (mythos) di ciò che siamo. I due soli si riflettono a vicenda, per cui il tempo cosmico è una narrazione dell’essere umano prima dell’umano stesso e che richiama all’umanità stessa, che spinge e che invoca il tempo umano. Dove il tempo umano è emergenza del tempo cosmico, manifestazione temporale degli uomini e delle donne che siamo, oggi. Questo processo di narrazione dell’essere umano è segnato da tre fili che danno forma all’essere umano: Fanes, Mnemosyne, Ananke. Fanes è simboleggiato dalla mano in sotto, che fa emergere dall’abisso ancestrale del tempo senza tempo, l’essere umano. Mnemosyne che tesse intorno una storia alla linea di confine dell’emergenza, la memoria stessa dell’essere umano. Si tratta di una memoria circolare, sviluppata intorno alla forma umana, come anelli d’albero che danno forma alla memoria del tronco. Infine, Ananke che permette una logicità del tempo, una pluralità discorsiva; una necessità che non è semplicemente limitativa ma limitante, ovvero in grado di seguire delle regole fra il tempo e il discorso. In questa pluralità del tempo, vogliamo riflettere sulla relazione fra abitare e città sotto lo sguardo di un tempo plurale, di tempora. Infatti, se il tempo si dice in molti modi, se abbiamo un tempo plurale, anche l’abitare diviene plurale, come segno del temporale. Ma l’abitare temporale in termini di pluralità, è anche un abitare temporaneo, per punti di crisi. Abitare temporaneo è un nuovo modo di tracciare l’ordine del discorso, di impostare la necessità (Ananke) secondo la memoria (Mnemosyne) e la fenomenologia dell’essere umano (Fanes). La contemporaneità si caratterizza per questa nuova metafisica del tempo, per cui ciò che è temporale, ciò che è nel tempo, diviene temporaneo, ciò che è utile in questo tempo. In questo modo, la pluralità del tempo-temporale diviene una utilità di questo tempo-temporaneo. L’epoca contemporanea, dunque, produce un modo di abitare temporaneo di per sé ed è in questo che ritroviamo un punto di crisi, ovvero di cambiamento del vivere insieme. Un elemento critico delle nostre città è proprio in questa temporaneità. Dove per elemento critico non intendiamo solo un fattore di rischio ma, insieme, un fattore di cambiamento, di crisi, etimologicamente “cambiamento”. Crisi, allora, è il passaggio da una temporaneità ad un’altra e, quindi, da un modo di abitare temporaneo ad un altro modo di abitare temporaneo. Allora la domanda che sorge oggi, è come poter rendere critica la crisi, ovvero come poter pensare criticamente alla temporaneità e il nostro modo di abitare temporaneo, rendendo in una nuova forma esistenziale: ciò che si manifesta (Fanes), la memoria (Mnemosyne), la necessità (Ananke).