Come si salva una città?
Durante il festival d’autunno Mediterraneo, promosso e organizzato dal Sistema Garibaldi in Bisceglie, ho avuto l’occasione di seguire lo spettacolo di Luigi d’Elia dal titolo “Non abbiate paura”. Si tratta di uno spettacolo teatrale che racconta lo sbarco degli albanesi a Brindisi, il 7 marzo 1991. Dopo il crollo del muro di Berlino e lo sbriciolamento dell’URSS, migliaia di persone attraversano l’Adriatico per giungere sulle coste italiane, in cerca di un mondo migliore. Ma la Brindisi degli anni ’90 è una città sommersa di problemi. Contrabbando, criminalità organizzata, dispersione scolastica, mancanza di lavoro o grandi industrie che creano occupazione ma a scapito della salute, una città, insomma, che tutto si poteva attendere, tranne che trovarsi migliaia di persone sul porto, in cerca di aiuto. Nella narrazione di Giovanni d’Elia, la cronaca dell’epoca si mescola ai racconti delle persone, alle voci dell’epoca, alle testimonianze e ad una piccola fisarmonica che accompagna il tutto, in una armonia di parole e suoni. Una città che si trova sull’orlo del collasso per le problematiche sociali e ambientali che si trova ad affrontare, con persone di un altro mondo, alle porte. Le istituzioni gridano allo stato di emergenza, la politica e la prefettura locale cerca sostegno dal governo centrale, ma gli aiuti tardano ad arrivare. Nel frattempo si predispone un commissario all’emergenza di Brindisi, un colloquio diplomatico con il governo provvisorio albanese, per fermare le ondate di migranti che giungono con navi di fortuna, mentre le migliaia di persone sono lì, ad attendere una coperta, un po’ di cibo, qualche vestito per potersi coprire. Mentre la situazione si fa sempre più insostenibile, dopo giorni di attese e continui sbarchi, ecco che il sindaco dell’epoca, Pino Marchionna, rivolge un invito alla popolazione: “Non abbiate paura”. Ed in quel momento, gli abitanti di una città in piena e costante crisi, si adoperano per portare soccorso ai ventimila albanesi giunti sulla banchina del porto di Brindisi. Madri che iniziano a preparare cibo, volontari della Caritas che si occupano di procurare vestiti, altri volontari che cercano di aiutare portando quello che hanno, medici di base che vanno a visitare gli immigrati cercando di isolare eventuali malattie contagiose, mentre la Prefettura inizia a preparare alloggi nelle scuole, per ospitare provvisoriamente gli sbarcati. Una città che si mette in movimento per aiutare una popolazione grande quanto un’altra città, trasportata dal Mediterraneo, in cerca di un mondo nuovo. Una frase che mi ha colpito del monologo di Luigi d’Elia è: “Come si salva una città?”. Una città in piena crisi, ritrova la sua umanità durante una emergenza che, come il crollo di una diga, si riversa per le strade. Persone affamate e svestite di stracci, in cerca di un mondo migliore, trovano un po’ di umanità, anche lì dove le istituzioni centrali sembrano essere assenti e dove gli interessi privati sembrano prendere il sopravvento. Due disperazioni si ritrovano e si riconoscono: fratelli e sorelle. Salvare una città non è questione di supereroi, come non è neanche una delega alle istituzioni, ma è una questione politica. Di una politica che attraversa la realtà degli avvenimenti e delle vicende, che crea amicizia sociale, tanto antica e tanto nuova. Così si salva una città.