Guido Guidi e la città come corpo
Fotografare una città può sembrare, per molti, un’operazione quasi banale, dal momento che ci viviamo all’interno di una città. Molte delle nostre foto pubblicate o semplicemente conservate negli archivi dei cellulari hanno come sfondo lo spazio urbano o sono, addirittura, manifestazione dello spazio urbano. Fra i tanti fotografi che si sono occupati dello spazio urbano non solo come sfondo ma come elemento costitutivo della fotografia, come suo protagonista, c’è Guido Guidi. Artista milanese di fama internazionale, ha dedicato molti dei suoi lavori proprio alla rappresentazione della città e fra le città. Muovendosi fra importanti riflessioni sul Movimento Moderno e i suoi principali rappresentanti come Le Corbusier, Mies van der Rhoe e Carlo Scarpa, per giungere alle modificazioni dello spazio urbano con un cammino fra Russia e Santiago de Compostela, la fotografia di Guido Guidi ci permette di gettare una nuova luce sulla città in termini di corpo. Passaggi di luce e movimenti di ombre, strade come vene che conducono fuori dalla città, capannoni abbandonati che sfigurano il paesaggio e il passaggio da una zona all’altra, Guidi ci permette di pensare la città come se fosse un corpo vivente, in trasformazione. La città simbolo per queste rappresentazioni di Guidi è Milano, l’opposto della città eterna. Infatti, se Roma è città eterna in quanto città in cui sembra che il tempo si sia cristallizzato nelle forme monumentali, per Milano il tempo sembra che sia in costante trasformazione. La fotografia di Guidi ci rivela, dunque, una città che si trasforma, che si muove, che cresce in larghezza quanto in altezza. Si tratta, insomma, di una città che prende corpo e che sembra essere restia a cristallizzarsi in una singola forma e in una semplice stratigrafia di popoli passati. In questo senso, allora, la città prende corpo, si fa corpo, con cellule e tessuti che continuamente si rinnovano, come anche con cicatrici profonde dei degrado e luoghi nuovi di sperimentazione e di risposta a nuovi bisogni. Si tratta di una città che solo l’arte ci riesce a restituire perché pone una distanza fra la città e la frenesia con cui la percorriamo. Uno sguardo che attraversa l’obiettivo, che imprime luce sulla carta, che fotografa elementi e contesti che creano luoghi di riflessione, spazi di apertura, visioni nuove sulla città. La fotografia di Guidi si concentra su queste dimensioni di fluidità, di passaggi, di contaminazioni fra luoghi, luce e materia. Allora la città non è più solo un insieme di edifici e case, ma è la nostra stessa pelle che cambia nella misura in cui anche noi ci facciamo corpo, nella misura in cui anche noi prendiamo un corpo e anche nella misura in cui il nostro stesso corpo cambia. Esplorare la città è come intraprendere un viaggio spirituale alla ricerca della pelle che siamo. Del corpo in cui abito, del corpo che abito.