Lo sguardo plurale
Continuando la nostra riflessione sulle tipologie e sulle modalità dello sguardo, ci confrontiamo con il dialogo che ha tenuto Angela Barbanente durante il nostro Abbecedario della cittadinanza. Filosofia in comune, che abbiamo organizzato presso il Castello di Bisceglie. Nel confronto sullo sguardo, abbiamo riscoperto la dimensione dello sguardo tecnico come uno sguardo appiattente, uno sguardo che si pone, nei confronti della città, dall’alto. Mappe, zonizzazione, divisione degli spazi, permessi e abusi, fanno parte tutti di uno sguardo tecnico, necessario ma non esauriente la realtà delle città. Con tutto questo non vogliamo sottovalutare lo sguardo tecnico e le numerose professionalità che si spendono per il bene della città. Tuttavia, allo sguardo tecnico corrisponde, per ovvie ragioni, un pensiero tecnico, in grado di semplificare ciò che è complesso, come la città. Ora, se dietro lo sguardo tecnico c’è un pensiero in grado di semplificare ciò che è complesso, è anche vero che occorre un altro sguardo in grado di complessificare ciò che sembra semplice. Non per fare giri di parole o vuoti voli pindarici o per assumere posizioni complottiste per cui dietro la realtà c’è sempre una verità che non ci raccontano. Non si tratta di questo, ma di uno sguardo complesso in grado di pensare i vari elementi, insieme. Si tratta di uno sguardo capace di lasciar spazio agli altri sguardi, uno sguardo che tenga in considerazione e sguardi alla città come un’opera collettiva e all’agire urbano come agire comunitario. La città è un’opera collettiva, composta di stratificazioni profonde ed anche le pratiche d’uso di una città mutano con il passare dei secoli. Lo sguardo urbano, dunque, è plurale di per sé non solo in maniera sincronica ma anche diacronica, non solo fra coloro che vivono oggi, ma anche con coloro che sono vissuti nel passato e che abiteranno la città nel futuro. Questo ci fa comprendere, l’idea dell’urbanista Patrick Geddes, il quale parlava di coevoluzione fra esseri umani e ambiente, di mutamenti e mutazioni che riguardano il tessuto urbano e che sono opera collettiva. Lo stesso Geddes, ci spinge a guardare ad una dimensione plurale della città quando, nel pieno centro di Edimburgo, acquista una torre per farla diventare un luogo dove educarsi alla città, la Outlook Tower. Letteralmente Torre di avvistamento, l’Outlook Tower è organizzata in modo da avere una visione localizzata e plurale della città di Edimburgo, partendo dal mondo per arrivare alla Camera Oscura, luogo in cui Geddes proiettava le immagini della città. In questo senso, di sguardi plurali e di opera collettiva, dunque, la città diviene non solo oggetto tecnico-funzionale, ma soprattutto soggetto educante. In un’epoca in cui non sappiamo ancora calcolare i danni a lunga portata che caratterizzano i nostri consumi dall’energia alla costruzione di città, la prima cosa da fare è tornare a questa educazione plurale dello sguardo. Un’operazione controcorrente, oggi.