Parole come sangue
Durante i Dialoghi di filosofia tenuti a fine maggio, presso il Castello di Bisceglie, Michele Lucivero ha sviluppato la sua riflessione partendo dall’etimologia di città, non racchiudibile solo nel linguaggio greco e latino, fino ad arrivare alla differenza fra politics e policy. Policy racchiude tutte le azioni che ogni cittadino mette a disposizione, portando ad una emancipazione di tutti. Politics, invece, riguarda la struttura partecipativa fatta di partiti e istituzioni. Con il termine policy, dunque, intendiamo quei percorsi di cittadinanza attiva che puntano ad una riduzione delle diseguaglianze economiche e civili. Tutti i vari movimenti che non sono più solo locali o globali ma attraversano le nostre stesse città e hanno ricadute sulle differenti culture, dicono la policy di una città, il come si muove a livello culturale, guardando a come si muove il mondo globale, come avvengono e come si innescano i processi collettivi. Per quanto riguarda politics, invece, abbiamo la facile traduzione in politica, ovvero nella struttura decisionale che garantisce una base democratica alle decisioni che riguardano i territori. In termini hegeliani, se proprio volessimo fare un paragone, siamo sulla differenza fra la Società Civile e lo Stato, rimarcata nella Fenomenologia dello Spirito. Tuttavia, questa differenza fra policy e politics presuppone lo stesso campo di gioco che è la polis, ovvero la città. O, meglio, una risemantizzazione della città, come suggeriva Lucivero. Secondo il nostro relatore, bisogna tentare di risemantizzare, di cercare un nuovo linguaggio, di cercare nuove parole che diano fondamento ai nostri discorsi e alle nostre azioni. In questo modo, si può ripensare la città in città, togliendo sempre più spazi agli interessi di pochi per favorire la partecipazione di tutti. In questo modo si possono attivare processi di inclusione che non ci facciano cadere in derive antropologiche troppo riduzioniste. Nella riflessione di Lucivero, dunque, è interessante notare come l’impegno non nasca dalla fattibilità delle azioni o dalla capacità progettuale dei singoli, ma dalla costruzione di nuovi discorsi e di nuove narrazioni. Per quanto riguarda la città, dunque, il tentativo è quello di trovare un nuovo lessico, parole nuove che sappiano fare i conti con contenuti chiari e di spessore. Allora, l’immagine che ci viene, nei confronti della città è che le parole che ritroviamo al suo interno, sono come il sangue che scorre dentro un corpo. Ricominciare a dialogare, dentro la città, significa chiarire le parole, riflettere su ciò che diciamo, rendere la realtà stessa vivente e traspirante idee. Trovare parole nuove o risemantizzare parole antiche, ciò che davvero è importante è poter dare ossigeno alle parole che, come sangue, possano scorrere all’interno della città e far respirare tutto il corpo urbano, nutrire tutti gli organi decisionali, spingere alla riflessione e ad innescare processi collettivi. Questo aiuterebbe le città non solo a crescere, ma almeno a sopravvivere, se non addirittura a risorgere.